Cultura
"Ultimo Tango a Parigi": dalla censura alle accuse del #MeToo, un simbolo senza pace
Barbara Leone
Un appartamento vuoto, inondato di luce grigia. Un pavimento spoglio, attraversato da una figura disarmata e vulnerabile. Lui, Marlon Brando, emblema di virilità e autorità, e lei, Maria Schneider, appena diciannovenne, fragile nella sua resa.
Un panetto di burro diventa simbolo di una brutalità impensata, di un dolore reale che superò i confini della finzione. In quella scena, destinata a diventare il cuore oscuro di "Ultimo tango a Parigi", la macchina da presa di Bernardo Bertolucci cattura non solo l’intimità violata, ma anche l’inizio di un tormento che accompagnerà per sempre la protagonista femminile del film.
"Ultimo Tango a Parigi": dalla censura alle accuse del #MeToo, un simbolo senza pace
Quel momento, al confine tra arte e abuso, oggi rappresenta una ferita ancora aperta nella storia del cinema. Era il 1972 quando "Ultimo tango a Parigi" giunse come un fulmine a squarciare il panorama cinematografico internazionale, portando con sé scandalo, dibattiti e censure.
La pellicola, ritratto torbido di una relazione consumata dalla disperazione e dalla carne, fu un pugno allo stomaco per la società dell'epoca, che si ritrovò impreparata di fronte a una rappresentazione così esplicita e disturbante della sessualità umana. La censura italiana, indignata, decretò addirittura la messa al rogo del film nel 1976. Una decisione che non spense il fuoco, anzi: tra clandestinità e celebrazione, "Ultimo tango" sopravvisse, fino a ottenere la riabilitazione nel 1987 e a conquistare nel 2002 la 48esima posizione nella lista dei migliori film sentimentali stilata dall'American Film Institute.
Ma oggi, a distanza di cinquant'anni, quel rogo sembra ardere ancora.
A riaccendere il dibattito è stata la Cinémathèque française, il tempio del cinema d’autore, che aveva in programma la proiezione della pellicola all'interno di una retrospettiva dedicata a Marlon Brando. Un annuncio che però ha scatenato un'ondata di polemiche che, in un clima già teso, ha portato alla cancellazione dell’evento.
"Siamo un cinema, non una fortezza", ha dichiarato Frédéric Bonnaud, direttore della Cinémathèque, spiegando che le minacce ricevute avevano reso insostenibile la situazione.
"Non possiamo correre rischi con la sicurezza del nostro personale e del nostro pubblico", ha aggiunto.
La decisione arriva in un momento delicato per l’opinione pubblica francese. Da una parte, il caso Christophe Ruggia, accusato di aver adescato e abusato dell’allora dodicenne Adèle Haenel durante le riprese di "Les Diables". Dall'altra, il processo contro Dominique Pelicot, accusato di aver drogato e violentato la moglie Gisèle, coinvolgendo decine di complici. Eventi che hanno scosso l’opinione pubblica francese, già sensibile alle questioni sollevate dal movimento #MeToo.
Ad aprire il fuoco contro la proiezione di "Ultimo tango" è stata l’attrice Judith Godrèche, figura di spicco del #MeToo francese. Con un appello accorato, Godrèche ha denunciato una mancanza di rispetto verso Maria Schneider (morta nel 2011, a 59 anni), la cui memoria, secondo l’attrice, meritava ben altro tributo.
"È tempo di svegliarsi, cara Cinémathèque, e di restituire umanità alle attrici diciannovenni, comportandosi in modo umano", ha scritto su Instagram, facendo riferimento all’età di Schneider all’epoca delle riprese. L’indignazione trova radici profonde in quella scena ormai tristemente celebre. Molti anni dopo l’uscita del film, Maria Schneider rivelò che la sequenza in cui Brando simulò un rapporto anale non era stata concordata con lei. La scena era presente nel copione, ma in forma diversa. Fu Marlon Brando, di concerto con Bertolucci, a ideare l’espediente del burro all’ultimo momento, senza informare l’attrice. “Volevamo catturare una reazione autentica di frustrazione e rabbia", ammise il regista nel 2013, come se la verità artistica potesse giustificare l’umiliazione inflitta. Schneider non fu mai più la stessa. Quel giorno sul set lasciò un segno indelebile sulla sua vita, che si tradusse in una lunga lotta contro depressione, dipendenze e un tentato suicidio. "Marlon mi disse: Non preoccuparti, è solo un film. Ma io piangevo lacrime vere', ricordò l’attrice. "Mi sono sentita umiliata, un po' violentata, sia da Bertolucci che da Brando". Parole, inizialmente ignorate, che hanno finalmente trovato ascolto nell'era del #MeToo. Il movimento ha infatti riportato alla luce l’abuso subito da Schneider, chiedendo che la sua testimonianza non venisse più ridotta al silenzio.
Lo ha fatto anche a Cannes portando "Being Maria", uno struggente documentario diretto da Jessica Palud che, ripercorrendo la tormentata carriera dell’attrice ,ha restituito voce alla sua tragedia sollecitando un ripensamento critico sull'eredità del film.
Un vero e proprio grido di dolore, che squarcia il velo sul lato spietato dell’industria cinematografica che troppo spesso permette spudoratamente qualsiasi cosa in nome del clamore mediatico.
La Cinémathèque, nel tentativo di placare le critiche, aveva inizialmente promesso un dibattito pubblico per contestualizzare il film. Ma il dialogo non è bastato a contenere l’ira delle associazioni femministe e degli attivisti per i diritti delle donne. L’epoca della cieca esaltazione artistica sembra tramontata, lasciando spazio a una riflessione più matura e complessa.
Eppure, “Ultimo tango” resta un'opera controversa, sospesa tra genio e orrore. La performance di Brando è ancora celebrata come una delle più intense del cinema, mentre la regia di Bertolucci continua a essere studiata per la sua audacia stilistica.
Ma a quale prezzo? L’arte può davvero essere separata dall'etica di chi la crea? La sofferenza di Maria Schneider può essere considerata un sacrificio accettabile?
Cinquantanni dopo, quelle domande restano senza risposta. Come un fantasma, “Ultimo tango a Parigi” torna a inquietare la coscienza collettiva, obbligando a interrogarci su ciò che siamo disposti ad accettare in nome dell’arte. Lì, in quell’appartamento vuoto e silenzioso, si è consumata una scena che ha superato i confini dello schermo, scolpendosi nella memoria di un’epoca intera. Forse è giunto il momento di ascoltare finalmente quella giovane donna che, tra lacrime reali, ci ha raccontato la più scomoda delle verità.