Maestoso e imperscrutabile, il lupo ha sempre esercitato un fascino magnetico sull’immaginario collettivo.
Da secoli, la sua figura si intreccia con miti e leggende, incarnando la duplice natura dell’umanità: selvaggia e inarrestabile, ma anche sociale e leale. Non è un caso che la mitologia lo abbia reso protagonista di storie fondative: dalla Lupa Capitolina, che allattò Romolo e Remo, sino alla leggenda di Cormac, il grande re irlandese allevato da una lupa.
Chi ha paura del lupo cattivo? L'Ue abbassa il livello di protezione
Eppure, nella realtà storica, il lupo è stato spesso visto come un nemico: un predatore in competizione con l’uomo per la selvaggina e il bestiame, un’ombra temuta nei boschi e nelle notti di luna piena. Il suo destino si è intrecciato con quello dell’essere umano in un rapporto ambivalente, incarnato per esempio dal cane, fedele compagno dell’uomo che discende proprio dal lupo, mentre il suo antenato continua a essere perseguitato. Tuttavia, la fedeltà del lupo al proprio branco, la sua capacità di vivere in una società strutturata e coesa, sono tutte caratteristiche che dovrebbero suscitare rispetto e ammirazione.
Ma la realtà, spesso, gli riserva un destino ben più crudele. Un destino che si è manifestato con brutale chiarezza nel maggio del 2023, quando, su un passo di montagna vicino a Cocullo, nell’Italia centrale, sei sacchi neri giacevano abbandonati lungo un sentiero. Dentro, nove lupi morti: un branco intero annientato. Una femmina incinta, sette cuccioli e il loro maschio alfa, tutti avvelenati con carne infetta. L’antico conflitto fra uomo e lupo si era consumato ancora una volta nella ferocia silenziosa del veleno, che non ha mietuto vittime solo tra i lupi, ma anche tra i grifoni, i corvi e chissà quanti altri animali, condannati a una morte straziante.
La paura e l’odio, radicati nella storia, avevano prevalso sulla possibilità di coesistenza.
“È stato un giorno nero per tutti noi”, ha dichiarato alla BBC Nicolò Borgianni, responsabile del progetto Rewilding Apennines, ricordando come la scena straziante contrastasse con la bellezza della giornata primaverile: fiori alpini in piena fioritura, il profilo delle montagne ancora spruzzato di neve. Ma il massacro non si è fermato lì. Il veleno, crudele nella sua persistenza, ha contaminato terra e acqua, perpetuando la sua scia di morte. E nonostante l’atrocità dell’evento, nessuno è stato perseguito. I corpi sono stati smaltiti, la vita ha ripreso il suo corso e, poco dopo, un nuovo branco si è insediato nel territorio lasciato vacante. La natura resiste, ma a quale prezzo?
Non è la prima volta che il lupo si trova sull’orlo dell’annientamento per mano dell’uomo. Negli anni ’70, era quasi estinto in Italia, ridotto a poche decine di esemplari. Solo grazie a protezioni rigorose è riuscito a sopravvivere, fino a contare oggi oltre 3.000 individui. Un ripopolamento che, tuttavia, ha riacceso il conflitto con gli allevatori, esasperati dalle predazioni sul bestiame.
Il lupo, che si nutre prevalentemente di cinghiali e altra selvaggina, viene percepito come un flagello per l’economia rurale. E così, tra pregiudizi e necessità, la caccia al lupo ha ripreso vigore, alimentata anche da una recente decisione dell’Unione Europea, che ha declassato lo status del lupo da "strettamente protetto" a "protetto", consentendo agli Stati di organizzare abbattimenti in caso di minaccia per le comunità rurali. Una decisione che, secondo Angela Tavone di Rewilding Apennines, rischia di innescare nuove "catene della morte". Dal canto loro, gli allevatori si sentono abbandonati, costretti a difendersi da soli. Lo dimostrano i numerosi episodi di lupi uccisi e lasciati in bella vista, appesi a segnali stradali o fermate degli autobus come macabri avvertimenti.
Ma la soluzione della violenza è davvero efficace? Gli studi dicono di no. La caccia al lupo destabilizza i branchi, frammenta la loro organizzazione sociale e porta spesso a un aumento delle predazioni sui greggi, invece che a una riduzione. Oltre la paura e la retorica politica, la convivenza con il lupo è possibile. Sistemi di compensazione equi, recinzioni elettrificate, cani da guardia addestrati: sono questi gli strumenti che possono garantire la sicurezza del bestiame senza ricorrere all’eliminazione di una specie fondamentale per l’ecosistema. Dove queste misure sono state adottate, gli attacchi ai greggi sono drasticamente diminuiti. Gli scienziati sottolineano che il problema del conflitto uomo-lupo è spesso solo la punta dell’iceberg.
In Grecia, per esempio, una ricerca ha evidenziato che le difficoltà economiche e politiche pesano sugli allevatori molto più delle predazioni. Il lupo diventa così un capro espiatorio per problemi più profondi: crisi economiche, spopolamento rurale, assenza di politiche di sostegno.
La verità è che sta accadendo ai lupi è il riflesso di una guerra più ampia tra uomo e natura. Il decreto del giugno 2023, che ha reso possibili abbattimenti massicci di animali selvatici, è la dimostrazione di una politica miope, incapace di guardare oltre l’immediato interesse economico. Eppure, studi scientifici dimostrano che l’abbattimento sistematico non è la soluzione. Lo dimostra il caso dei cinghiali: nonostante la caccia sia stata intensificata, i danni all’agricoltura continuano ad aumentare. Per ora, il lupo, con la sua fierezza e il suo spirito indomito, resiste. Ma per quanto ancora?