In prima linea su tutti i media globali c’è l’attacco terroristico che ha colpito la comunità ebraica di Manchester durante le celebrazioni dello Yom Kippur. Le vittime identificate sono Adrian Daulby, 53 anni, e Melvin Cravitz, 66, mentre altre tre persone si trovano ricoverate in gravi condizioni.
Manchester, Starmer: “Faremo di tutto per garantire sicurezza alla comunità ebraica”
Secondo la polizia, riferisce la BBC, un uomo ha dapprima investito con l’auto alcuni fedeli davanti alla sinagoga di Heaton Park per poi accoltellarli. L’aggressore, identificato come Jihad Al-Shamie, 35 anni, cittadino britannico di origine siriana naturalizzato nel 2006, è stato ucciso dagli agenti sette minuti dopo l’allarme.
Il capo della polizia Sir Stephen Watson ha dichiarato che l’uomo indossava un giubbotto che sembrava contenere esplosivo, rivelatosi però non utilizzabile. Secondo le prime verifiche, Al-Shamie non risultava nei registri antiterrorismo né era sotto indagine attiva. Tre persone – due uomini sulla trentina e una donna sulla sessantina – sono state arrestate con l’accusa di istigazione e preparazione di atti terroristici.
La comunità ebraica è sotto shock. “È tragico sapere chi sono le vittime”, ha commentato Raphi Bloom alla BBC, ricordando come sinagoghe e scuole ebraiche nel Regno Unito siano da tempo costrette a vivere sotto protezione costante. Anche Josh Simons, unico parlamentare ebreo della Greater Manchester, ha sottolineato quanto l’attacco abbia colpito una comunità “in cui tutti conoscono tutti”, parlando di “paura palpabile” ma anche di “determinazione a non arrendersi”. Le istituzioni hanno espresso cordoglio e fermezza.
Il premier Keir Starmer ha promesso che il governo garantirà “la sicurezza che la comunità ebraica merita”, mentre il ministro degli Interni Shabana Mahmood ha confermato l’aumento della presenza delle forze di polizia presso i luoghi di culto. Il rabbino capo del Regno Unito ha collegato l’attentato a quella che definisce “un’incessante ondata di odio contro gli ebrei”, sollecitando ancora una volta un controllo più severo sulle manifestazioni filo-palestinesi, alcune delle quali, ha detto, “contengono un antisemitismo palese e un sostegno esplicito ad Hamas”.
La Camera dei Comuni ha deciso di ammainare le bandiere fino a venerdì sera in memoria delle vittime, come annunciato dal presidente Sir Lindsay Hoyle. Un gesto simbolico che riflette la gravità di un attacco consumatosi nel giorno più sacro del calendario ebraico, colpendo non solo una comunità ma l’intero Paese.
Intanto ieri sera a Monaco di Baviera diversi avvistamenti di droni hanno costretto le autorità aeroportuali a sospendere i voli. Secondo quanto riportato dal Guardian e dalla Reuters, 17 voli sono stati cancellati e circa 3.000 passeggeri hanno subito disagi, mentre altri 15 aerei sono stati dirottati verso aeroporti vicini, da Stoccarda a Vienna.
L’aeroporto ha riaperto soltanto nelle prime ore di questa mattina. L’episodio si inserisce in una settimana già segnata da tensione: l’Oktoberfest, simbolo della città, era stato temporaneamente evacuato dopo un allarme bomba e il ritrovamento di esplosivi in un edificio residenziale. Situazioni che accrescono il senso di vulnerabilità in Germania, mentre la Danimarca e la Norvegia hanno già registrato episodi analoghi con droni nei cieli, attribuiti da Copenaghen con sospetto alla Russia. Il premier danese Mette Frederiksen ha parlato della “situazione più difficile e pericolosa dalla fine della seconda guerra mondiale”, in occasione del vertice europeo che si è concentrato proprio sulla difesa e sul sostegno all’Ucraina.
Non a caso, una fregata tedesca, la FSG Hamburg, è arrivata a Copenaghen per rafforzare la sorveglianza aerea nell’ambito della missione NATO Baltic Sentry. L’Alleanza ha già annunciato un aumento della vigilanza nella regione del Baltico, mentre Mosca continua a negare qualsiasi responsabilità. Lo stesso presidente Vladimir Putin ha liquidato la questione con sarcasmo, affermando che la Russia “non farà più volare droni sulla Danimarca”.
Oltreoceano, invece, il dibattito politico statunitense si concentra ancora una volta sul rischio di shutdown del governo federale. La CNN racconta del vivace scambio di dichiarazioni tra i repubblicani, con il senatore Mike Lee che ha definito la situazione “il peggior incubo dei democratici”, attribuendo al direttore dell’OMB, Russ Vought, un ruolo strategico nella preparazione di tagli mirati alle agenzie considerate “democratiche”. Ma non tutti i repubblicani condividono questa linea dura.
Il presidente della Camera Mike Johnson ha cercato di smorzare i toni, descrivendo Vought come riluttante nell’assumersi questa responsabilità. Altri senatori, come Kevin Cramer del North Dakota e Susan Collins del Maine, hanno espresso apertamente preoccupazione per il costo politico di una strategia che rischia di minare la “superiorità morale” del partito. Anche John Thune, leader della maggioranza al Senato, ha ammesso che “le acque politiche si stanno intorbidendo”.
L’ombra del Progetto 2025 della Heritage Foundation, che Trump aveva cercato di minimizzare durante la campagna elettorale, aleggia nuovamente sull’amministrazione. Nonostante la distanza pubblicamente presa, molte delle figure coinvolte nel piano sono state poi reclutate dal presidente, confermando la sua influenza sugli indirizzi politici. Tuttavia, i sondaggi segnalano un malcontento diffuso: secondo la Quinnipiac University, sei americani su dieci continuano a disapprovare le politiche di taglio al governo federale.
Le conseguenze si riflettono anche sul piano elettorale, con diversi stati democratici colpiti dai tagli che ospitano circoscrizioni decisive in vista delle elezioni di medio termine del 2026. I democratici, questa volta, sembrano intenzionati a non cedere alle pressioni, sfidando l’amministrazione Trump a portare avanti fino in fondo la minaccia di shutdown. Come ha ironizzato Hakeem Jeffries, leader della minoranza alla Camera, di fronte ai blocchi ai finanziamenti per New York: “minacce infondate”.