In primo piano su tutti i media internazionali c’è oggi l’atteso incontro alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Un vertice cruciale, che arriva in un momento di estrema tensione geopolitica. Come riporta la CNN, Trump ha affermato che un accordo per porre fine al conflitto è “probabile”.
World Media Headlines: Trump-Netanyahu alla Casa Bianca tra guerra e diplomazia
Un’affermazione che apre spiragli di speranza, ma che appare allo stesso tempo carica di incognite, perché la proposta di compromesso è politicamente problematica per Netanyahu, stretto tra le pressioni della comunità internazionale e quelle, opposte, della sua fragile coalizione di governo. Gli analisti, sottolinea CNN, si dividono sul significato di questa metamorfosi. Mazal Mualem, autrice della biografia The Netanyahu Code, sostiene che Netanyahu sia oggi “una persona completamente diversa”, spinta da un approccio più proattivo e coraggioso dopo la “cecità strategica” del 7 ottobre.
Altri, come Anshel Pfeffer dell’Economist, sono più scettici: per lui Netanyahu resta avverso al rischio, ma ha accettato lo status quo della guerra come un modo per sopravvivere politicamente. In realtà, il premier israeliano appare oggi stretto tra diverse paure: quella di perdere il potere, quella di essere travolto dal processo per corruzione in corso, quella di venire ricordato dalla storia non come il “Churchill d’Israele” ma come il leader incapace di prevenire il peggior attacco al Paese. A questo si aggiunge la pressione della sua coalizione di estrema destra, con figure come Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich pronte a far cadere il governo se Netanyahu dovesse aprire a negoziati di pace o, peggio, alla prospettiva di uno Stato palestinese, ipotesi che la proposta americana sembra includere.
“È come un giocatore d’azzardo disperato”, osserva Pfeffer, “che punta ogni volta le sue fiches in un posto diverso nella speranza di consolidare il suo posto nella storia”. Una strategia rischiosa, che finora ha prodotto operazioni militari su più fronti, ma non la vittoria decisiva che Netanyahu cerca. L’incontro alla Casa Bianca assume dunque un valore decisivo. Finora l’amministrazione Trump ha sostenuto in larga parte l’azione militare israeliana, arrivando perfino ad appoggiare gli attacchi contro l’Iran nello scorso giugno.
Ma, come nota la CNN, la natura mutevole del presidente americano potrebbe presto cambiare gli equilibri. Dopo aver spinto Israele a interrompere il raid contro Teheran, oggi Trump parla apertamente di un accordo imminente per porre fine alla guerra. Un nuovo status quo, imposto da Washington, rischierebbe di bloccare la strategia di Netanyahu, costringendolo a rientrare nel perimetro della diplomazia e a fare i conti con il proprio destino politico.
Non è un caso che molti osservatori ritengano che il vero campo di battaglia per il premier israeliano non sia soltanto Gaza, ma la memoria storica e la sua eredità personale. Sull’altro fronte, riferisce The Guardian, il ministro degli Esteri tedesco Boris Pistorius interverrà oggi al Forum sulla sicurezza di Varsavia, dove avvertirà che il presidente russo Vladimir Putin “cerca di provocare gli stati membri della NATO. Non ci riuscirà.
L'Alleanza ha risposto alle provocazioni della Russia con chiarezza, unità, determinazione e prudenza. Non ci lasceremo ingannare dalla trappola di Putin, che prevede una continua escalation”, afferma. Pistorius avverte inoltre che i continui colloqui sugli accordi di pace restano per lo più "un pio desiderio", poiché "gli sforzi diplomatici non riescono a portare a nessuna svolta significativa" nella guerra.
Afferma che “tutto ciò non lascia dubbi sul fatto che Vladimir Putin non vuole un cessate il fuoco e non vuole la pace per l’Ucraina. Quindi oggi dobbiamo concentrarci sul rafforzamento dell'Ucraina e sulla sua difesa", afferma sottolineando che "Il nostro obiettivo è vedere l'Ucraina avviare negoziati significativi per raggiungere una pace duratura, e per questo l'Ucraina deve essere forte. Questa è la nostra responsabilità come europei. Questo è un compito del nostro tempo." E conclude: "Dobbiamo fare di più per la difesa in Europa e lo faremo . La NATO deve diventare più europea per rimanere transatlantica. Questo è ciò che serve affinché il nostro continente sia unito, libero e in pace."
E a proposito di Europa, altro tema caldo su tutti i media internazionali è il confronto elettorale in Moldavia, dove il partito pro-europeo della presidente Maia Sandu ha vinto le elezioni parlamentari, assicurandosi una nuova maggioranza assoluta. La BBC ha sottolineato come il risultato rappresenti una scelta chiara di campo da parte dei cittadini: l’Europa invece della Russia, la democrazia invece dell’autoritarismo. Il Partito d’Azione e Solidarietà (PAS), guidato da Igor Grosu, ha ottenuto il 50% dei voti – con quasi il 100% delle schede scrutinate – contro meno del 25% del Blocco Elettorale Patriottico filo-russo. Un successo netto, che permette al governo di governare senza alleati.
“È stata una battaglia straordinariamente difficile”, ha dichiarato Grosu, accusando la Russia di aver tentato in tutti i modi di condizionare il voto. Le elezioni sono state infatti accompagnate da una lunga scia di tensioni: allarmi bomba nei seggi elettorali in Moldavia e all’estero, proteste annunciate dall’opposizione guidata da Igor Dodon, accuse di disinformazione e persino di addestramenti paramilitari in Serbia per preparare disordini.
Un’inchiesta della BBC ha rivelato una rete di propaganda filo-russa online, mentre la polizia moldava ha denunciato un piano senza precedenti di interferenza da parte di Mosca. Nonostante tutto, l’affluenza alle urne è stata del 52%, superiore alla media degli ultimi anni, e la vittoria del PAS è stata salutata con favore da Bruxelles. “Avete fatto una scelta chiara: Europa. Democrazia. Libertà”, ha scritto Ursula von der Leyen.
Donald Tusk, premier polacco, ha elogiato Sandu per aver “salvato la democrazia” e bloccato i tentativi russi di destabilizzare la regione. La Moldavia, già colpita dagli effetti della guerra in Ucraina, resta tuttavia un Paese fragile. La presenza dell’enclave separatista della Transnistria, controllata da Mosca, continua a rappresentare un punto nevralgico: qui vivono migliaia di cittadini moldavi filo-russi che hanno denunciato ostacoli al voto, tra cui chiusure improvvise dei seggi per allarmi bomba.
Le immagini delle code di auto ai posti di blocco, tra bandiere sovietiche e statue di Lenin, raccontano meglio di qualsiasi analisi la divisione profonda che attraversa il Paese. Molti elettori, come Dan Spatar intervistato dalla BBC, hanno detto di aver scelto “un futuro europeo rispetto a un passato russo”. Altri, invece, accusano il governo di non aver mantenuto le promesse economiche e guardano ancora a Mosca come punto di riferimento.