Economia

Tasse, nel 2023 gettito fiscale 613 miliardi: lo Stato incassa l’86% ma spende solo il 56%

Redazione
 
Tasse, nel 2023 gettito fiscale 613 miliardi: lo Stato incassa l’86% ma spende solo il 56%

Nel 2023, il sistema fiscale italiano ha registrato un gettito complessivo pari a 613,1 miliardi di euro. Di questi, 529,4 miliardi, ovvero l’86 per cento del totale, sono confluiti nelle casse dello Stato centrale, mentre i restanti 83,7 miliardi, equivalenti al 14 per cento, sono stati destinati a Regioni ed Enti locali. Parallelamente, la spesa pubblica, al netto delle uscite previdenziali e degli interessi sul debito, ha raggiunto quasi i 644 miliardi di euro.

 

Tasse, nel 2023 gettito fiscale 613 miliardi: lo Stato incassa l’86% ma spende solo il 56%

 

Di questa somma, 362 miliardi, ossia il 56 per cento, sono stati sostenuti dallo Stato, mentre 281 miliardi, pari al 44 per cento, sono usciti dai bilanci di Regioni e Enti locali. Questi dati evidenziano uno squilibrio preoccupante tra la distribuzione delle entrate tributarie e quella della spesa pubblica.

 

L’Ufficio studi della CGIA sottolinea come, sebbene quasi tutte le tasse pagate dagli italiani finiscano allo Stato centrale, solo poco più della metà della spesa pubblica sia a carico dello stesso. Questo significa che gli Enti locali, che garantiscono quasi la metà dei servizi essenziali ai cittadini - dalla sanità ai trasporti pubblici, dall’edilizia abitativa alle politiche sociali - dipendono in larga misura dai trasferimenti statali, spesso vincolati da spese storiche o dalla capacità delle amministrazioni locali di negoziare con Roma. Negli ultimi trent’anni, numerosi compiti e servizi sono stati delegati dal livello centrale a quello periferico senza un corrispondente aumento dell’autonomia finanziaria degli enti locali.

 

La conseguenza è spesso un doppio peso per i cittadini, che sostengono tali servizi prima attraverso la fiscalità generale e poi con ticket e tasse locali. Tra le imposte più significative per i contribuenti figurano l’Irpef, che ha inciso per 208,4 miliardi di euro al lordo di detrazioni e deduzioni, seguita dall’Iva con 140 miliardi e dall’Ires con 49,7 miliardi. Per le Regioni, le entrate più rilevanti derivano dall’Irap (28,9 miliardi), dall’addizionale regionale Irpef (13,5 miliardi) e dal bollo auto (6,6 miliardi).

 

Le Province contano invece sul gettito dell’imposta sulla Rc auto (2,1 miliardi) e sul Pra (1,7 miliardi). Infine, i Comuni dispongono di 18,6 miliardi dall’Imu, 5,7 miliardi dall’addizionale comunale Irpef e 1,7 miliardi dai contributi delle concessioni edilizie.

 

Questa disparità, spiega CGIA, ha spinto alcune Regioni, in particolare Veneto e Lombardia, a reclamare maggiore autonomia fiscale. Nel 2017, entrambe hanno tenuto referendum consultivi sul tema. La Banca d’Italia, pur senza dati aggiornati, resta l’unica istituzione in grado di calcolare il residuo fiscale, cioè la differenza tra quanto ciascuna regione versa allo Stato e quanto riceve in termini di trasferimenti.

Secondo i dati disponibili, riferiti al 2019, le regioni ordinarie del Nord, escluse Liguria e regioni a statuto speciale, mostrano un residuo fiscale negativo, il che significa che i loro cittadini contribuiscono più di quanto ricevano. Nel dettaglio, nel 2019 un abitante del Veneto ha “alimentato” le casse pubbliche e il resto del Paese con 2.680 euro, mentre un lombardo ha versato 5.090 euro. Questo spiega in parte le richieste di autonomia differenziata avanzate dalle due Regioni, motivate da una percezione di centralismo eccessivo che accentua le disuguaglianze territoriali.

Al contrario, le regioni del Mezzogiorno presentano un residuo fiscale positivo: i trasferimenti statali superano le entrate locali. Per esempio, nel 2019 la Campania ha registrato un saldo pro capite di +1.380 euro, la Puglia +2.440 euro, la Sicilia +2.989 euro e la Calabria +3.085 euro. Questa situazione non deriva da una spesa eccessiva nel Sud, ma dal fatto che i redditi medi più bassi comportano minori contribuzioni fiscali. Storicamente, i flussi finanziari dal Nord al Sud hanno rappresentato un meccanismo di solidarietà interregionale, destinato a riequilibrare le disparità economiche.

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