C’è una crepa, sottile ma visibile, nell’equilibrio emotivo dell’Europa. A metterla in luce è una recente indagine condotta dal Consumer Lab di Bain & Company su un campione di 9.000 cittadini europei, di cui 1.500 italiani. Il quadro che emerge è sfaccettato e in parte contraddittorio: l’umore collettivo sembra reggere, ma sotto la superficie si agitano tensioni, disparità e fragilità emotive.
Italia al primo posto per stress in Europa, ma anche prima per attenzione alla salute (77%)
E l’Italia, manco a dirlo, si ritrova al vertice della classifica... ma nel posto sbagliato: è il Paese più stressato del continente. Stando ai dati raccolti, circa un terzo degli europei convive con alti livelli di stress. Ma è il nostro Paese a guidare la classifica, con un “net stress level” – un indicatore che misura il saldo tra chi si sente molto stressato e chi invece si dichiara rilassato – pari al 9%.
Dietro di noi, la Polonia. Più sereni, invece, i tedeschi, che si guadagnano la maglia bianca della calma continentale. “L’Italia è in testa, ma in un’area critica: quella della pressione emotiva quotidiana”, osserva Marco Caldarelli, Senior Partner di Bain & Company. Eppure non tutto è perduto: se da un lato siamo il popolo più teso, dall’altro siamo anche quello che più di tutti dimostra di voler reagire. Il 77% degli italiani intervistati indica la salute come una priorità reale, e il 41% dice di monitorare con costanza il proprio stato di benessere. Un dato che non ha eguali in Europa.
Non siamo però tutti ugualmente esposti al logorio quotidiano. Il report mette in evidenza come siano i più giovani – in particolare la Generazione Z – a registrare i picchi di tensione più elevati. Seguono le donne, che riportano un livello di stress superiore del 16% rispetto agli uomini, e le persone con redditi più bassi (+13%). All’opposto, gli over 60 e i cittadini benestanti appaiono emotivamente più stabili. Solo un europeo su dieci si definisce “completamente privo di stress”, mentre il 13% si sente “molto” o “estremamente” stressato.
Una forbice emotiva che riflette, ancora una volta, le disuguaglianze sociali. La mappa delle inquietudini italiane racconta di un Paese che vive la pressione più nelle mura domestiche che fuori. Le fonti principali di stress, infatti, non sono né la politica né il crimine, ma il portafoglio e la salute: il 28% indica tra le cause principali le difficoltà finanziarie, le preoccupazioni per la salute dei propri cari o per la propria. Un profilo emotivo fortemente ancorato alla sfera personale, familiare, intima.
“È un tratto distintivo – spiega ancora Caldarelli – che differenzia gli italiani da altri cittadini europei, più sensibili a questioni sistemiche”. In un’Europa che si interroga sempre più sul significato di “vivere bene”, la salute si conferma un valore condiviso: il 95% dei cittadini la considera una priorità. Ma tra il dire e il fare, c’è sempre di mezzo qualcosa. Ben il 23% ammette di avere difficoltà a mantenere abitudini coerenti con questo obiettivo. L’Italia, in questo senso, mostra una doppia faccia: si distingue per l’impegno attivo – soprattutto rispetto a salute fisica (73%) e mentale (67%) – ma resta indietro su altri aspetti. Solo il 50% si prende cura del sonno, il 39% coltiva la socialità e appena il 30% riconosce l’importanza del contatto con la natura.
Un approccio, insomma, ancora frammentato, che fatica a integrare corpo, relazioni, ambiente e sfera spirituale. C’è però un dato che ribalta la narrativa e trasforma la crisi in un’occasione. Lo stress, per molti, è ormai il campanello d’allarme che induce a cambiare stile di vita. In Italia, un intervistato su cinque afferma di aver ridefinito i propri obiettivi di salute proprio a causa della pressione emotiva: perdere peso (30%), dormire meglio, rafforzare il fisico. E non siamo soli. In tutta Europa, cresce il numero di persone che scelgono di ridurre zuccheri, grassi, cibi industriali, alcol e bibite zuccherate.
Piccoli segnali di una nuova consapevolezza collettiva. In questa Italia stanca ma reattiva, stressata ma combattiva, si apre uno spazio inedito per il mondo delle imprese. “Il disagio emotivo non va interpretato solo come un sintomo sociale – avverte Caldarelli – ma come una leva per ripensare il ruolo delle aziende di largo consumo”. Insomma, in un contesto dove la salute diventa esigenza primaria e la ricerca di autenticità si fa sempre più urgente, i brand hanno l’occasione – e forse il dovere – di andare oltre il semplice prodotto: diventare alleati del benessere, facilitatori di equilibrio e qualità della vita.