Economia

Gli Stati Uniti stanno entrando in recessione?

Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments
 

La debolezza dei numeri del mercato del lavoro statunitense ha generato un timore diffuso che gli Stati Uniti si stiano dirigendo verso una recessione e, sebbene questa paura non rappresenti certo l'unica ragione, è stata seguita da un crollo dei mercati azionari in tutto il mondo, soprattutto in Giappone. Mentre i mercati obbligazionari hanno registrato una forte ripresa. Valutando i rischi di recessione negli Stati Uniti quale considerazioni possiamo trarre per i mercati finanziari?

L'elemento chiave dei dati sul lavoro USA della scorsa settimana, che hanno portato ad un aumento dei timori recessivi, è il fatto che abbiano innescato la Regola di Sahm, secondo la quale un aumento di 0,5 punti percentuali nella media mobile a tre mesi del tasso di disoccupazione USA rispetto al suo minimo nei 12 mesi precedenti segnalerebbe una recessione; questa regola non ha mai dato falsi positivi o falsi negativi nelle 11 recessioni che si sono susseguite dal 1950 ad oggi. La stessa regola si è poi sempre rivelata precisa anche in termini di tempistiche, risultando imminente entro pochi mesi. Inoltre. è molto più accurata delle misure standard quali la curva dei rendimenti.

Per questi motivi, vi è certamente qualcosa di cui preoccuparsi. Il primo punto da notare è che la tempistica delle recessioni statunitensi è determinata da un comitato di economisti del National Bureau of Economic Research, che solitamente ricerca una flessione diffusa dell'economia che duri più di qualche mese. Chiaramente non siamo ancora a questo punto e, facendo un passo indietro, ci sono poche prove di squilibri finanziari che tipicamente presagiscono una recessione. I bilanci individuali e aziendali sono infatti positivi. A mio avviso, potremmo aspettarci un rallentamento negli Stati Uniti a causa del calo dei consumi, ma che si tratterebbe di un rallentamento modesto, non di una recessione. Vi sono poi preoccupazioni rispetto ai numeri della disoccupazione, sebbene gran parte del recente aumento rifletta l’enorme picco di quanti sono rimasti senza lavoro a causa del maltempo o di licenziamenti temporanei, movimento quest’ultimo che dovrebbe invertirsi rapidamente. Anche il massiccio afflusso di immigrati non autorizzati negli Stati Uniti, che in genere sono idonei a lavorare dopo pochi mesi ma hanno un tasso di disoccupazione più elevato, è un fattore da tenere in considerazione. Inoltre, questi dati sull’occupazione provengono da un sondaggio sulle famiglie che ha visto un calo nei tassi di partecipazione – cosa che rende i numeri meno accurati. Lo stesso calo nel tasso di risposta si è verificato anche nel Regno Unito su scala più ampia- il che ha portato la nostra agenzia statistica ad abbandonare l'indagine. Per chiudere l’analisi, la stessa inventrice della regola, Claudia Sahm, afferma di non ritenere che la recessione sia alle porte.

In linea generale, siamo riluttanti nel dire “questa volta è diverso” quando una regola ha funzionato così bene in passato. I prossimi dati potrebbero infatti segnare un passo indietro più ampio e profondo. Ma la nostra ipotesi migliore è che si tratti di un falso allarme. Come spiegare quindi tutto questo? Innanzitutto, i grandi movimenti di mercato a cui stiamo assistendo non sono stati del tutto dovuti agli ultimi dati deboli negli Stati Uniti. Lo svuotamento dell'enorme carry trade dello yen significa che i maggiori movimenti sono stati registrati in Giappone e questi sono spesso esagerati quando si verificano nel mese di agosto. Se abbiamo ragione e il rallentamento degli Stati Uniti non dovesse trasformarsi in recessione, possiamo aspettarci che i mercati si stabilizzeranno e riprenderanno. Potrebbe esserci, invece, un effetto più duraturo sulle prossime mosse della Federal Reserve statunitense, che è stata oggetto di molte critiche e che probabilmente taglierà i tassi di interesse più rapidamente di quanto avrebbe fatto in precedenza.

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