Il maestoso stambecco, simbolo del Parco nazionale del Gran Paradiso, sta affrontando una nuova minaccia. Se nel 1856 la specie fu salvata dall’estinzione grazie alla trasformazione dell’area in Riserva reale di caccia, oggi il suo futuro è nuovamente incerto a causa degli effetti del cambiamento climatico. In trent’anni, la popolazione si è dimezzata, passando dai 5.000 esemplari del 1993 agli attuali 2.700.
Il cambiamento climatico minaccia il re delle Alpi
A destare preoccupazione è soprattutto il drastico calo del tasso di sopravvivenza dei piccoli. Come spiega a Repubblica Bruno Bassano, direttore del Parco, solo un cucciolo su tre supera i primi mesi di vita, mentre in passato la percentuale era del 70%. «Se il trend climatico continuerà, gli stambecchi, come pure altre specie, dovranno modificare i loro comportamenti e, ad esempio, salire sempre più in quota dove però non c'è habitat», sottolinea Bassano.
L’esperto non teme l’estinzione della specie all’interno del Parco, confidando nella sua capacità di adattamento, ma evidenzia un problema cruciale: «C'è bisogno di tempo, mentre il cambiamento climatico è molto rapido». A contribuire alla riduzione della popolazione degli stambecchi ci sono diversi fattori. In primo luogo, la minore presenza di neve, un paradosso che, pur agevolando gli spostamenti di questi animali più pesanti e meno agili dei camosci, si rivela dannoso per il loro ciclo vitale.
Serena Ciampa, guida del Parco, spiega: «Gli stambecchi non amano la neve, ma la sua assenza influisce sulla qualità dell’erba di cui si nutrono durante la fase di svezzamento». La scarsa disponibilità di nutrienti rende i piccoli più deboli, con conseguenze negative sulla sopravvivenza della specie. Un altro problema è rappresentato dalla bassa variabilità genetica della popolazione. «Se non trovano una strategia alternativa, ci saranno problemi», avverte Bassano, sottolineando il rischio che il numero degli esemplari continui a calare nei prossimi anni.
Mentre gli stambecchi affrontano un futuro incerto, altri abitanti del Parco sembrano godere di una ripresa. Il gipeto, uno dei più grandi rapaci d’Europa, è tornato a nidificare nelle valli del Gran Paradiso. L’ultimo esemplare era stato abbattuto nel 1913, ma dal 2011 tre coppie hanno stabilito i loro nidi sul versante valdostano, e più recentemente anche in Valle Orco, in Piemonte. Per evitare l’invasione di curiosi, i guardaparco mantengono riservate le località precise in cui si trovano i nidi. Diversa la situazione per i camosci, la cui popolazione è diminuita di 2.000 unità negli ultimi dieci anni. Tuttavia, come ipotizza Bassano, la riduzione numerica potrebbe essere solo apparente: la crescente presenza del lupo, infatti, sta rendendo i camosci più schivi e difficili da avvistare.
Se nel Parco del Gran Paradiso la popolazione degli stambecchi è in calo, altrove si registrano segnali positivi. Nel Parco del Monviso, dove la specie è stata reintrodotta tra il 1978 e il 1993, si è raggiunto un record con 260 esemplari censiti lo scorso dicembre. Anche il tasso di sopravvivenza è incoraggiante: «Il successo riproduttivo è da ritenersi elevato, soprattutto considerando che le rilevazioni invernali escludono la mortalità perinatale ed estiva», spiegano gli esperti del Parco. Nonostante questo caso positivo, il cambiamento climatico continua a rappresentare una sfida per la fauna alpina. Studi dell’Università di Torino hanno dimostrato che la scomparsa dei ghiacciai accelera l’evoluzione dell’ecosistema montano. «In 25 anni abbiamo perso 30 metri di spessore di ghiacciaio, praticamente un palazzo di 10 piani», racconta Stefano Cerise, caposervizio dei guardaparco della Val di Rhêmes.
Oltre alla fauna, anche l’economia della montagna deve fare i conti con i cambiamenti climatici. Nel 2022, il Parco nazionale del Gran Paradiso ha attirato circa un milione e mezzo di visitatori, ma le stazioni sciistiche dovranno adattarsi. «Le stazioni che puntano sullo sci di fondo dovranno spostarsi sempre più in alto», afferma Bassano. Tuttavia, la vera preoccupazione riguarda l’approvvigionamento energetico: «Le montagne sono state sfruttate per la produzione di energia idroelettrica, ma senza ghiacciai sarà difficile continuare a produrre l’elettricità necessaria».
Per lo stambecco, simbolo di resistenza e adattamento, il futuro dipenderà dunque dalla sua capacità di evolversi abbastanza in fretta per affrontare un clima sempre più ostile.