Ambiente & Sostenibilità

La complessa nozione di sostenibilità: macroeconomia, (pseudo)ideologia, falsi miti e pressappochismi

Paolo Lisi - Componente del Comitato Scientifico Istituto per il Governo Societario
 
La complessa nozione di sostenibilità: macroeconomia, (pseudo)ideologia, falsi miti e pressappochismi

Il recente recepimento nell’ordinamento nazionale della normativa UE in materia di reporting di sostenibilità, peraltro in discussione (e quasi certo ridimensionamento) prima ancora della sua effettiva entrata a regime, ha portato con vigore alla ribalta il concetto di sostenibilità e di modelli decisionali-valutativi (anche definiti modelli ESG), finalizzati al conseguimento di obiettivi in tal senso.

La nozione di sostenibilità abbraccia prospettive ampie, non limitate al pur decisivo ambito della compatibilità ambientale e della transizione energetica, ma estese al campo delle scelte in materia organizzativa (tutela delle risorse e, più in generale, del capitale umano), oltre che al settore della corretta governance (trasparenza, rettitudine, attenzione agli stakeholder, ossia ai soggetti caratterizzati da interessati in comune con una determinata entità).

Le definizioni si sprecano, e - trattandosi di un termine che va di moda, come va di moda la parola resilienza - molti aggiungono l’aggettivo sostenibile come se fosse il peperoncino da usare per dare vigore agli alimenti sciapi. Allo stesso modo, gli addetti ai lavori (diciamo, autoproclamatisi esperti ESG) spuntano come funghi, ma occorrerebbe saper operare dei distinguo.

Di seguito, proverò a fornire una definizione personale, spero originale, per quanto - ovviamente - opinabile, di sostenibilità.

La sostenibilità attiene alla sfera dell’economia delle scelte. Materia che richiede, per il campo di applicazione, non solo competenze economiche, ma anche psico-organizzative, tecnico-ingegneristiche e, per certi aspetti, giuridiche.

Si potrebbe definire come la disciplina che studia e analizza attraverso quali modalità le scelte di soggetti, privati e pubblici, individuali e collettivi, ma comunque all’interno di un “ambiente” sociale anche esteso, possano essere ottimizzate, posti alcuni obiettivi da raggiungere. In altri termini come, predefiniti dei costi/investimenti/sforzi da impiegare, e fissati alcuni obiettivi da conseguire, le risorse (tecniche, finanziarie, umane) disponibili possano fornire la migliore ricaduta in termini di benefici, di tipo qualitativo e quantitativo.

Le risorse da impiegare, il prezzo da pagare, esiste sempre. Si tratta di poter valutare con quali modalità, a parità di impegno profuso, sia possibile realizzare i benefici più consistenti e durevoli, in termini di grado di raggiungimento di determinati obiettivi. Il filo logico comune che lega le finalità da raggiungere è strettamente connesso al miglioramento del benessere umano, nelle sue implicazioni variegate di interazioni tra uomo e ambiente fisico (ecologiche), tra singoli individui e entità organizzate, specialmente aziendali (socio-lavorative), tra le diverse articolazioni sociali.

Gli obiettivi sono quindi assai trasversali, di seguito alcuni esempi:

  • Tutelare l’ambiente ecologico, mediante riduzione delle emissioni di gas serra, adozione di strumenti di efficientamento energetico, sviluppo della generazione da fonti rinnovabili, tutela dei bacini idrici, etc.
  • Migliorare l’ecosistema, tutelando anche le altre specie viventi
  • Tutelare, non solo in senso statico ma in chiave dinamica, la salute, il benessere e lo sviluppo della persona umana, ad esempio all’interno di organizzazioni complesse (aziende, enti di varia natura)
  • Elevare la formazione, lo sviluppo culturale e il tasso di “democrazia”, inteso quale capacità dei singoli attori di un sistema di interagire liberamente e efficacemente tra di loro
  • Dare spazio e voce ai portatori di interesse diffusi. Non solo, quindi, ai risparmiatori, figura centrale nelle economie capitaliste, ma anche ai cittadini consumatori e fruitori di beni e servizi
  • Incrementare il grado di correttezza e di trasparenza dei processi di governo (per esempio, di un’impresa)

Tenendo presente che, nella pratica, alcuni degli obiettivi da conseguire sono interrelati, e che certe scelte, o politiche, possono facilitare la realizzazione di più obiettivi simultaneamente, di seguito alcuni esempi emblematici, per comprendere con cosa si può avere a che fare, e quale grado di complessità risulti necessario fronteggiare.

Così, per esempio, se ci si pone l’obiettivo di migliorare l’ambiente, attraverso la riduzione dei gas serra, uno strumento possibile, e quindi una politica adottabile, potrebbe consistere nell’estendere l’impiego delle auto a trazione elettrica, attraverso incentivi fiscali e altre leve. D’altra parte, è anche vero che l’e-car non sia l’unico strumento possibile per ridurre le emissioni di co2 e migliorare la qualità dell’aria. Ce ne possono essere altri, come per esempio incentivi (e investimenti) per l’impiego su vasta scala del trasporto pubblico (treni, metropolitane e autobus, questi ultimi a trazione elettrica), presumibilmente meno inquinante e più efficiente di quello privato.

Uno dei problemi più frequenti, in ambito valutativo, è che spesso le scelte sono viziate da considerazioni di carattere prettamente ideologico, spesso, a loro volta, inquinate da interessi di parte.

Accade così, partendo dall’esempio considerato, che i detrattori delle ecar critichino il loro costo eccessivo e le prestazioni imperfette, il che è parzialmente vero, ma sarà sempre meno vero, man mano che questa tecnologia diverrà meno bambina, e con l’acquisizione di crescenti quote di mercato. Ci si può razionalmente attendere prestazioni crescenti, per esempio dal lato dell’autonomia tra una ricarica e la successiva e dei tempi medi di ricarica, come pure una progressiva riduzione dei costi di fabbricazione e dei prezzi (dazi permettendo, ma la manifattura cinese sta dimostrando come ciò sia possibile).

Se i sostenitori di questa tecnologia, talora, dimenticano i problemi oggettivi che la caratterizzano, problemi tipici di una tecnologia in corso di implementazione, all’opposto i detrattori, talora a partito preso (secondo modalità non obiettive e ideologiche) la criticano con argomentazioni poco ragionevoli, asserendo per esempio che i processi produttivi delle auto a trazione elettrica siano inquinanti (posto che l’utilizzo, ovviamente, non lo è affatto).

Una semplice domanda: “perdonatemi, nemici delle e-car… i processi di fabbricazione delle auto a motore endotermico non sono anch’essi inquinanti?“

E così le valutazioni rischiano di divenire sempre più soggettive, umorali, svincolate dalla logica e dalla volontà di ricercare il bene comune.

Un altro esempio di errore irrazionale, di vizio cognitivo, di ideologizzazione spinta del dibattito riguarda le polemiche che imperversano sui comportamenti clima-alteranti. Per anni, il fronte ideologico è stato sostanzialmente diviso tra una maggioranza interventista, sostenitrice del nesso causale tra incremento delle emissioni di co2 e l’aumento della temperatura globale, e una minoranza negazionista, che al contrario nega la scientificità di questa correlazione.

Da un lato politici, scienziati, economisti, che hanno orientato le politiche dell’ONU, di altri organismi internazionali e degli Stati sovrani, denunciando il progressivo incremento delle temperature medie e i danni connessi (a tale proposito, si citano le statistiche dei sinistri avvenuti); dall’altro, soggetti di estrazione simile (ci sono anche scienziati, su questo fronte, alcuni dei quali, bene ammetterlo, assai prestigiosi), che ipotizzano altre variabili in ballo, come fluttuazioni climatiche cicliche, profili astronomici (eruzioni e macchie solari, etc.), fenomeni geotermici (vulcani) e mille altri fattori, semntendo la prevalenza degli effetti antropici.

Con l’avvento dell’amministrazione Trump, i profili problematici delle emissioni carboniche sono stati bruscamente accantonati, ma il fatto è che la nuova percezione delle problematiche, in questo caso ambientali, non ne modifica gli effetti reali.

Uno degli errori che si commette in modo più frequente, nell’applicare parametri di sostenibilità, unitamente alla ideologizzazione eccessiva delle valutazioni, consiste in visioni parziali e a compartimenti stagni. Viste, in altri termini, che trascurano di considerare la realtà per quella che è: complessa e multifattoriale. In una parola: un sistema di variabili, complesso e in divenire.

Per tornare ai casi considerati, ossia l’impiego dell’auto elettrica su scala crescente, con gli effetti clima alteranti delle emissioni carboniche, e aspetti connessi, non vengono quasi mai contemplati tutti i fattori in ballo. Ancora una volta, agli oppositori la valutazione omnicomprensiva non fa comodo; all’opposto, i sostenitori spesso si concentrano esclusivamente su alcuni aspetti (come il famigerato effetto serra, che l’e-car dovrebbe contribuire a ridurre), trascurando però dei driver altrettanto essenziali.

Le scelte di politica economica, di promozione di questa o quella tecnologia, hanno ricadute complesse. L’uso delle auto elettriche, ma anche, come detto, la promozione del trasporto pubblico, potrebbe favorire la riduzione non soltanto delle emissioni clima alteranti (che, per alcuni, non alterano le temperature, ma che per molti lo fanno…), ma di numerosi agenti nocivi, che non sono semplicemente maleodoranti, ma a lungo andare determinano affezioni dell’apparato respiratorio, problematiche oncologiche e numerose altre patologie. E senza dimenticare le emissioni di … rumore, tipiche delle auto a trazione tradizionale, che provocano pesanti effetti in termini di stress.

Allora, il quesito dovrebbe essere posto in questi termini: quali sono le ricadute, i vantaggi, valutabili sotto il profilo economico, e non, dell’impiego massivo dell’auto a trazione elettrica? E, di converso: quale sforzo sarebbe giustificato dalle ricadute, almeno potenziali? Quante risorse destinare?

Ovviamente, uno dei profili problematici di queste analisi (del tipo, valutazioni di impatto, oppure costo/beneficio), consiste nel dare una dimensione economica a fenomeni non intrinsecamente economici (come può essere, in prima battuta, la salute delle persone); allo stesso modo, non è banale svolgere una rankizzazione, ossia una assegnazione di priorità, a fattori prettamente qualitativi.

Non è agevole, ma non è impossibile: anche se può apparire freddo farlo, e tenuto presente che non esiste una “bilancia” del dolore umano, sarebbe però possibile valutare il risparmio economico, e quindi il ritorno in termini di spesa sanitaria evitata, correlato alla riduzione delle patologie gravi, di tipo cardiocircolatorio, polmonare, oncologico, e così via, per rimanere agli esempi tratteggiati. In altri termini, stimare - anche economicamente - il beneficio economico di determinate scelte e politiche attive, poste in essere a presidio della fantomatica sostenibilità. In definitiva, si tratta di un possente beneficio, aggiuntivo rispetto alla (per alcuni, solo presunta) interazione con le temperature.

Da quanto osservato fino a questo punto, risulta evidente come svolgere analisi oggettive, razionali, in relazione a fattori di sostenibilità possa essere appannaggio solo di professionalità complesse; non unicamente in campo economico, ma anche della ricerca sociale, dell’ingegneria, e così via.

La complessità delle problematiche da trattare, così come la necessità di utilizzare competenze multidisciplinari e visione sistemica, stride fortemente con l’esplosione, in misura esponenziale, di apparenti professionalità di settore, le quali però, a una disamina anche non rigorosa, dimostrano la loro palese inadeguatezza. Non bastano pochi slogan a formare un economista o un esperto della sostenibilità, per intenderci.

In conclusione:

  • La scienza umana della sostenibilità può essere classificata quale una sotto-branca dell’economia delle decisioni
  • Essa richiede, per essere attuata con rigore, competenze trasversali e una visione di insieme, di tipo sistemico, non monovisuale
  • La stessa si deve basare su strumenti di analisi derivati dalle scienze economico-sociali, quali analisi costi/benefici e valutazioni di impatto
  • Le analisi devono contemplare sia fattori quantitativi che elementi qualitativi. Può essere possibile, ma mai risulta semplice, fornire un equivalente economico, per esempi in termini di beneficio atteso, degli aspetti qualitativi. Può essere, inoltre, utile introdurre nell’analisi elementi probabilistici, tipici delle analisi stocastiche
  • La materia, proprio per lo spettro di azione assai ampio, e per la rilevanza potenzialmente di rilievo sulla vita delle persone, si presta a fenomeni di marcata ideologizzazione, che minano il confronto serio, confondono le analisi oggettive e, in definitiva, rischiano di condurre a risultati inconcludenti
  • Infine, ma non come tratto di minore incisività, specialmente in ambito europeo si è assistito in alcuni casi a problemi di eccessiva burocratizzazione della disciplina di sostenibilità, che - nel togliere slancio all’iniziativa privata - sta dando luogo a inevitabili fenomeni di rigetto. Emblematica, al riguardo,la frenata (ancora in corso) della UE sulla disciplina del reporting di sostenibilità e su aspetti connessi. Qui il rischio, mi pare evidente, è che i possibili errori portino a trascurare quanto di buono realizzato sino ad ora.
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