Esteri

Misericordia e potere: da un vescovo donna il sermone che ha sfidato Trump

Barbara Leone
 

FOTO: C-Span

''La misericordia scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra'', scrive William Shakespeare ne ''Il mercante di Venezia''.
E chissà se scenderà anche nel cuore, e soprattutto negli atti, di Donald Trump. Se lo augura la vescova episcopale Mariann Edgar Budde, che martedì, durante la cerimonia inaugurale nella National Cathedral di Washington, ha lanciato al neopresidente un accorato appello dal sapore agrodolce di sfida: misericordia per le comunità LGBTQ+ e per i migranti.
''Vi chiedo di avere pietà delle persone nel nostro Paese che ora sono spaventate - ha detto Budde, puntando lo sguardo sul presidente seduto in prima fila -. Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender in famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti, alcuni dei quali temono per la propria vita''.

Misericordia e potere: da un vescovo donna il sermone che ha sfidato Trump

Parole cariche di empatia e fermezza, capaci di risuonare con forza in una platea avvezza agli omaggi e alle lodi per il nuovo inquilino della Casa Bianca. E che era in evidente disagio.
A partire, ovviamente da Trump, che alzando gli occhi al cielo continuava a sfogliare nervosamente il suo programma scrutando di tanto in tanto la sala. Accanto a lui, l’immancabile Melania, con stampato in volto un chiaro ghigno di disapprovazione.

Tema cruciale del sermone, l’immigrazione: ''Le persone che raccolgono la frutta nei campi e puliscono i nostri uffici, forse non sono cittadini o non hanno i documenti in regola, ma pagano le tasse e sono buoni vicini'', ha sottolineato Budde. ''Vi chiedo di avere pietà, signor Presidente, di coloro nelle nostre comunità i cui figli temono che i loro genitori vengano portati via'', ha detto la vescova denunciando, implicitamente, le politiche di deportazioni di massa promesse dal presidente e che rischiano di frammentare famiglie e comunità. Non è la prima volta che la vescova Budde si contrappone apertamente a Trump.

Durante le proteste per la morte di George Floyd, aveva criticato l'uso della chiesa episcopale di St. John come sfondo per una foto del presidente con una Bibbia in mano, definendolo un abuso di un luogo sacro. Anche in quell'occasione, il suo intervento aveva suscitato dibattito e polemiche, ma Budde ha sempre mantenuto ferma la sua posizione, guidata dai principi del Vangelo.

Il sermone di ieri, che ha avuto un'eco immediata sui media e sui social, ha attirato commenti di ogni tipo: dalle accuse di politicizzare la religione alle manifestazioni di sostegno per il coraggio dimostrato. ''Semplicemente vergognoso. Un falso vescovo che abusa del suo ruolo cerimoniale per attaccare il presidente e il vicepresidente con la propaganda liberale. Trump non dovrebbe mai tornare in quella cattedrale'', ha detto un co-conduttore di Fox News.
Elon Musk, commentando su X, ha definito le parole della vescova un esempio di ''virus della mentalità woke''. Mentre il rappresentante repubblicano Mike Collins avrebbe (il condizionale è d’obbligo, anche perché non vogliamo crederci) addirittura suggerito la sua deportazione.

Trump, da parte sua, ha liquidato l'intervento definendolo ''non emozionante'' e ha commentato: “Non penso che fosse un buon servizio. Non l'ho trovato stimolante''. Parole che confermano l'insofferenza del presidente per qualsiasi critica, soprattutto se proveniente da un pulpito religioso.

Insomma, la cerimonia inaugurale alla National Cathedral avrebbe dovuto essere un momento di celebrazione per Donald Trump, ma si è trasformata in un episodio emblematico della tensione tra fede e politica, mettendo anche in luce un aspetto fondamentale: il ruolo della Chiesa come voce critica e indipendente, capace di sfidare il potere terreno quando questo si allontana dai valori della giustizia e della compassione.
Budde ha scelto di parlare a nome di chi non ha voce, di difendere i diritti dei più vulnerabili e di richiamare il leader della nazione a una maggiore umanità. Non è un caso che questa sfida sia stata lanciata da una donna, che per natura incarna il dono della vita. Una voce, la sua, che risuona come un appello concreto e coraggioso a costruire ponti, in un mondo che sembra sempre più incline a innalzare muri. Un richiamo alla cura, alla protezione e alla speranza. Perché la vera forza non sta nel sopraffare, ma nel tendere la mano e abbracciare l'altro anche, anzi soprattutto, quando l’altro è distante anni luce da noi. Con misericordia, appunto.

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