No, non è fantascienza e non siamo a Jurassic Park: la possibilità di riportare in vita specie estinte sta per diventare realtà. La Colossal Biosciences, società statunitense specializzata in biotecnologie, ha infatti recentemente annunciato di aver ottenuto esemplari di topi geneticamente modificati con caratteristiche simili a quelle dei mammut.
Scienza: il ritorno del mammut
Una notizia che ha riacceso il dibattito sulla de-estinzione e sulla sua utilità, sollevando interrogativi sia scientifici che etici. L'azienda sostiene che la creazione di questi roditori rappresenti un passo fondamentale verso il suo obiettivo: generare elefanti adattati ai climi freddi, capaci di ripopolare l'Artico e contribuire a rallentare il riscaldamento globale.
“Siamo sulla buona strada per avere il primo elefante adattato al freddo entro il 2028 e ciò significherebbe avere i primi embrioni entro la fine del 2026”, ha dichiarato Ben Lam, co-fondatore e CEO della Colossal, alla BBC News. Ma al di là dell'entusiasmo dell'azienda, la comunità scientifica rimane profondamente divisa sulla fattibilità e sull'etica di questo esperimento.
L'idea di ricreare una specie estinta attraverso la manipolazione genetica affonda le sue radici nella ricerca avanzata sul DNA e sulla biologia sintetica. Nel caso dei topi lanosi, otto geni sono stati modificati: sette di essi erano correlati alla crescita del pelo e l'ottavo, derivato dal mammut, era associato all'aumento del grasso corporeo. I risultati sono stati parziali: sebbene i roditori abbiano sviluppato un manto più folto e riccio, il gene del mammut non ha prodotto gli effetti sperati sull'accumulo di grasso, elemento cruciale per la sopravvivenza in ambienti estremamente freddi.
Nonostante questo, la Colossal Biosciences continua a sostenere che il progetto sia sulla buona strada. La professoressa Beth Shapiro, responsabile scientifica dell'azienda, ha difeso l'iniziativa dichiarando: “La convalida del funzionamento di questo metodo è davvero entusiasmante per il nostro progetto”.
Secondo Shapiro, le tecniche utilizzate per modificare i topi saranno estese agli elefanti, con l'obiettivo di sviluppare una popolazione di pachidermi capaci di adattarsi ai rigori dell'Artico e contribuire alla rigenerazione della tundra. Tuttavia, il passaggio dalla modifica genetica di piccoli roditori alla creazione di elefanti lanosi resta una sfida immensa. “È un salto enorme pensare di passare dai topi geneticamente modificati agli elefanti lanosi in soli cinque anni”, ha commentato la dottoressa Helen Wallace del gruppo GeneWatch accusando questa ricerca che “sembra più una strategia di marketing che un reale progresso scientifico”.
Difficile darle torto. Perché se da un lato la de-estinzione viene presentata come una soluzione per riequilibrare ecosistemi danneggiati, dall'altro emergono diversi problemi. Uno degli ostacoli principali è che gli ecosistemi nei quali questi animali vivevano sono mutati radicalmente nel corso dei millenni. L'introduzione di nuove creature, anche se geneticamente simili agli originali, potrebbe provocare conseguenze imprevedibili e alterare in maniera irreversibile le dinamiche naturali. Inoltre, la realizzazione del progetto su larga scala appare un'impresa mastodontica.
Anche qualora si riuscisse a produrre un elefante lanoso stile mammut, per avere un impatto significativo sarebbero necessarie intere mandrie. Senza contare che la riproduzione in cattività di un numero sufficiente di esemplari comporterebbe costi e tempi enormi, oltre a una serie di sfide legate al benessere degli animali coinvolti. Un'altra questione cruciale riguarda l'integrazione sociale degli elefanti modificati. Gli elefanti sono animali altamente sociali, dotati di una struttura gerarchica complessa.
Il rischio che i nuovi individui vengano rifiutati dai gruppi naturali è concreto. La professoressa Shapiro, tuttavia, ha minimizzato il problema: “Cambieremo solo poche lettere del loro codice DNA. Gli elefanti nasceranno da madri che non li considereranno diversi, saranno molto simili a loro, solo con più peli”, assicura.
Al di là delle implicazioni ecologiche e scientifiche, la de-estinzione pone anche un grave problema etico anche legato all'uso degli animali nella ricerca scientifica.
Esperimenti come quello condotto dalla Colossal Biosciences implicano inevitabilmente la manipolazione genetica, l'allevamento in laboratorio e, in molti casi, la sofferenza degli animali coinvolti. I topi geneticamente modificati per questo studio non hanno scelto di essere sottoposti a tali alterazioni. Sono stati creati in laboratorio, utilizzati come strumenti di test e, probabilmente, sacrificati una volta terminata la sperimentazione. Se questi esperimenti fossero finalizzati alla cura di malattie mortali o alla sopravvivenza dell'umanità, il dibattito sarebbe complesso e spinoso.
Ma in questo caso, la finalità è quantomeno discutibile: è giustificabile sottoporre animali a sofferenze per tentare di ricreare una specie estinta per un presunto beneficio ecologico? Magari le risorse economiche e tecnologiche impiegate per la de-estinzione potrebbero essere utilizzate per salvaguardare le specie attualmente minacciate di estinzione. Basti pensare al piccione rosa di Mauritius, parente stretto del dodo, che ha rischiato di scomparire più volte nel corso dell'ultimo secolo.
Oppure agli honeycreeper hawaiani, decimati dalla malaria aviaria introdotta dall'uomo. Proteggere le specie ancora esistenti, piuttosto che tentare di riportarne in vita di estinte, potrebbe essere un approccio più razionale ed etico.
Insomma, la de-estinzione rappresenta un confine sottile tra progresso scientifico e arroganza umana. Come ammoniva Michael Crichton, padre di “Jurassic Park”, “I nostri scienziati erano così impegnati a chiedersi se potevano farlo che non si sono fermati a pensare se dovevano farlo”.
Quindi, la domanda fondamentale non è tanto se possiamo riportare in vita queste specie, ma se dovremmo farlo. Perché così si rischia di giocare con meccanismi naturali senza comprenderne a fondo le implicazioni, creando esseri viventi che potrebbero non avere un posto nel mondo moderno. E le conseguenze potrebbero anche essere devastanti.