Un quadro sorprendente e pieno di contraddizioni emerge dall’ultimo studio di Rystad Energy sulle risorse petrolifere mondiali. Nonostante nel 2024 il consumo globale abbia raggiunto i 30 miliardi di barili, le riserve recuperabili sono cresciute di 5 miliardi di barili, un incremento netto che sfida le previsioni più ottimistiche.
Risorse petrolifere globali in calo: l’analisi di Rystad Energy smentisce le aspettative
Questo risultato è stato soprattutto trainato dalla rivalutazione del giacimento non convenzionale di Vaca Muerta in Argentina e del bacino del Permiano Delaware, tra Texas e Nuovo Messico. Ma dietro questa buona notizia si nasconde una realtà più complessa. Le risorse petrolifere globali oggi stimate, incluse quelle ancora da scoprire, ammontano a circa 1,5 trilioni di barili.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni, il potenziale delle risorse inesplorate ha subito una drastica revisione al ribasso: la stima delle quantità ancora da scoprire è stata ridotta di 456 miliardi di barili. Le ragioni sono note: calo dell’esplorazione in territori remoti, insuccessi nello sviluppo di giacimenti di shale oil al di fuori del continente americano e un raddoppio dei costi operativi nel settore offshore negli ultimi cinque anni. Secondo le proiezioni di Rystad, nei prossimi cinque anni i nuovi progetti convenzionali riusciranno a sostituire meno del 30% delle riserve consumate, mentre l’esplorazione pura contribuirà appena per il 10%.
Dal 1900 a oggi, l’umanità ha estratto 1.572 miliardi di barili di petrolio. Le riserve attuali, ai ritmi di produzione odierni, basterebbero per appena 14 anni. Questo scenario solleva dubbi seri sul futuro della domanda globale. Se la richiesta continuasse a crescere, come prevedono organismi come l’OPEC, l’offerta faticherebbe a tenere il passo, anche con prezzi elevati e remunerativi per i produttori. La transizione energetica potrebbe, però, alterare lo scenario.
L’elettrificazione crescente dei trasporti, come avviene in Cina, promette di ridurre la domanda di petrolio nei prossimi anni. “L’estrazione completa di queste risorse richiederà la stabilizzazione dei prezzi del petrolio a livelli più elevati”, spiega Per Magnus Nysveen, analista capo di Rystad Energy. “Ulteriori aumenti richiederanno nuove tecnologie per abbattere i costi di produzione. Nei prossimi decenni, è probabile che il capitale necessario per soddisfare una domanda in continua crescita non sarà disponibile, i prezzi dei servizi potrebbero impennarsi e la propensione a innovare per sostenere emissioni così elevate sarà limitata”.
Questa possibile restrizione dell’offerta ha conseguenze dirette sul cambiamento climatico. Se la domanda dovesse continuare a crescere, le risorse recuperabili non basterebbero, creando un contesto economico in cui il petrolio non potrebbe competere con fonti energetiche meno costose da sviluppare. Per questo motivo, Rystad Energy non prevede una crescita continua e rapida della domanda di petrolio fino al 2050.
Nello scenario più estremo elaborato dall’analisi, che porta a un aumento di 2,5°C della temperatura globale, le emissioni future di CO2 dai combustibili fossili saranno limitate a 2.000 gigatonnellate, di cui 900 Gt dal carbone, 600 Gt dal petrolio e 500 Gt da gas naturale e liquidi di gas naturale (NGL).
Si tratta di 500 Gt di CO2 in meno rispetto allo scenario intermedio dell’IPCC, che prevede un riscaldamento di 2,8°C. “In un mondo con domanda piatta o in crescita dopo il 2030, sarebbe necessario un altro super-ciclo del petrolio”, sottolinea Artem Abramov, vice capo analista di Rystad Energy. “Per realizzare questo scenario servirebbero un aumento sostanziale dell’esplorazione di frontiera, più successo nelle perforazioni, un recupero secondario accelerato e lo sviluppo su larga scala di giacimenti shale non primari, sia in Nord America che altrove”. Un’eventualità che, alla luce dei dati attuali, appare sempre più lontana.