Esteri

Pace - La guerra lascia Israele tra problemi irrisolti, col crepuscolo politico di Netanyahu ormai vicino

Diego Minuti
 
Pace - La guerra lascia Israele tra problemi irrisolti, col crepuscolo politico di Netanyahu ormai vicino

L'annuncio della firma dell'accordo di pace, che metterà fine a due anni di guerra intensa, crudele, forse oltremisura sanguinosa, con atti di reciproca violenza insensata (semmai la violenza sia mai sensata) , mette Israele davanti ad un bivio, che riguarda, oltre che il futuro del suo governo, che mostra già le prime crepe, anche il senso stesso dello stigma che pesa sul Paese sin dalla sua nascita: combattere, sempre e comunque, anche contro la ragionevolezza, per la sua sopravvivenza.

La guerra lascia Israele col crepuscolo politico di Netanyahu vicino

La pace che è stata annunciata da Donald Trump non nasce da un movimento ''endogeno'' a Israele, non deriva dalla consapevolezza di una guerra che, nata come reazione alla strage del 7 ottobre ed all'indegno ricatto imbastito sulla sorte degli ostaggi, è diventata altro, si è trasformata in un deliberato annientamento di un popolo per cancellarne le frange armate che si oppongono alle mire espansionistiche della destra israeliana, sempre più caratterizzata in un movimento quasi messianico, in cui la Palestina è terra di conquista e non di un popolo, di un altro popolo.

Per questo, dando per scontato che alla fine la bozza dell'accordo di pace possa passare nella sua interezza o quasi, il domani di Israele lascia pensare ad un periodo di scossoni politici, perché, finita l'emergenza della guerra, il Paese dovrà aprire una profonda riflessione su quando accaduto.

E la riflessione si dovrà, necessariamente, trasfondere in una presa di coscienza che il mito dell'invincibilità di Israele è finito nel momento in cui la sua sicurezza è stata ridicolizzata da Hamas, che ha perforato i sistemi di difesa come lama nel burro, violando in confini, occupando per ore alcuni kibbutz di frontiera, massacrando, sequestrando e quindi allontanandosi prima che Israele riuscisse a reagire.

Dalla ''Guerra dei sei giorni'' ad oggi, passando per quello dello Yom Kippur, la storia militare di Israele è stata costellata di successi, non tutti completi e quindi realmente tali, ma ha mostrato una capacità di reazione immediata del suo esercito, che dopo il 7 ottobre c'è stata, ma non cogliendo quella vittoria che la differenza delle forze in campo avrebbe dovuto spianare e in fretta. Una situazione che ha posto l'IDF - la potente macchina bellica del Paese - nella necessità di andarsi ad impantanare in una guerra non ''ortodossa'', combattuta nelle strade e che, per mettere in ginocchio Hamas, è dovuta passare attraverso la cancellazione fisica di una città, di una enclave e, con esse, di parte di un popolo, ridotto alla fame.

Benjamin Netanyahu, in questi anni passati in gran parte a disquisire di bombe e razzi nel gabinetto di guerra, ha perso il contatto con la sua gente che, sebbene ne condivida la ricerca di una vittoria definitiva contro i gruppi armati - palestinesi, ma non solo, come Hezbollah e i ribelli yemeniti confermano -, non capisce come mai la guerra si sia protratta per due anni (con un prezzo altissimo in vite, ma anche sul fronte economico, perché uccidere costa) quando la potenza militare avrebbe potuto e dovuto reagire in tempi più stretti, ponendo fine, in un modo o nell'altro, alla prigionia degli ostaggi.

Ora il primo ministro di Israele è, dentro la comunità politica del Paese, quasi un sopravvissuto, perché l'estrema destra, quella incarnata dai suoi ministri, Smotrich e Ben Gvir, sa benissimo di non potersi più presentare al proprio elettorato (quello dei coloni e degli ultraortodossi) come barriera all'aggressione, e quindi alimentando una fronda logorerà il primo ministro, alle prese anche con problemi giudiziari che, grazie al conflitto, è riuscito per il momento a scansare, ma che potrà farlo in eterno.

Ma la cronaca sul terreno sembra andare più in fretta di quella della politica e l'IDF sta già predisponendo il ritiro da Gaza, sino ai luoghi ritenuti irrinunciabili per la sicurezza di Israele. E, tanto per evitare che qualcuno pensi che la pace sia già un fatto acquisito, anche stamattina su Gaza si sono sentite esplosioni. Perché la pace è anche questo: terrorizzare sino ad un istante prima che le armi tacciano.

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