Anche oggi, quando la pace dovrebbe essere ad un passo, le bombe sono cadute su Gaza City, confermando che Israele sospenderà le sue azioni belliche solo un istante dopo che il governo Netanyahu approverà il piano americano.
Pace - A Gaza si festeggia, ma piovono ancora bombe sul futuro della Striscia
Ma Gaza sembra essere un territorio alieno dal resto del mondo, dove l'annuncio dell'accordo è stato salutato con soddisfazione e speranze. Ma la speranza vera, nella Striscia, è ancora lontana perché, anche se dovessero cessare i bombardamenti, il cammino verso il ritorno ad una parvenza di normalità è non solo lunghissimo, ma irto di problemi.
La notizia della firma dell'accordo di pace è stata accolta con entusiasmo a Gaza City, dove la gente - non molta: la prudenza prevale sempre quando la morte arriva inattesa dal cielo - ha festeggiato, ma non cedendo all'entusiasmo di precedenti occasioni del genere.
Ma quello era il tempo in cui i gruppi armati palestinesi celebravano sempre una tregua come fosse una loro vittoria. Oggi è diverso, perché se può essere una vittoria avere resistito per due anni alla potente macchina militare di Israele, non lo è più guardando quello che resta di Gaza City, una sequenza interminabile di macerie, dove le strade non sono più strade, ma trappole mortali da scansare per potersi spostare da una parte all'altra della città, andando a caccia di qualcosa da mangiare.
La situazione, sebbene migliorata rispetto a poche settimane fa, con una costanza del flusso di aiuti umanitari, resta ancora drammatica, soprattutto sul fronte alimentare e sanitario. E la gente, quella che ha accettato colpevolmente di essere dominata da un gruppo minoritario, che poggiava la sua autorevolezza sulla forza e sul terrore, ora non sembra più disposta a farsi carico del rischio che domani un'altra leadership di Hamas si avventuri in azioni che possano provocare nuovamente la reazione di Gerusalemme.
L'esito della fortissima pressione di Donald Trump (su Israele) e dei leader arabi (su Hamas e sui palestinesi) è ora in attesa della ratifica dei punti dell'accordo, alcuni dei quali potrebbero essere d'inciampo nell'immediato futuro. Perché, nel momento in cui Hamas subordina il via libera all'accettazione di alcune richieste, che Israele ritiene irricevibili, sembra volere alzare la posta di una trattativa ufficialmente definita, nella realtà ancora non lo è completamente.
La richiesta della restituzione delle spoglie dei fratelli Sinwar non è solo, apparentemente, un gesto di umanità, per dare alle famiglie dei due esponenti di Hamas uccisi da Israele qualcosa su cui piangere, ma anche la volontà di farne dei martiri della lotta armata. E si sa che nulla più di una tomba consente di elevare al rango di eroi le vittime di un conflitto.
Allo stesso modo cadrà nel silenzio la richiesta delle liberazione di Marwan Barghouti, che sconta una condanna a ''fine pena: mai'' (cinque ergastoli e 40 anni di reclusione) nel carcere di Ganot, dove trascorre le sue giornate dal 2004. Barghouti, paragonato, con una spericolata similitudine, a Nelson Mandela, nonostante le accuse di essere stato dietro sanguinosi attentati, rappresenterebbe, se libero, il volto dialogante dei palestinesi e quindi un personaggio da spendere anche mediaticamente, visto il larghissimo seguito popolare di cui viene accreditato. Ma resta il dubbio se la sua liberazione sia stata reclamata perché realmente voluta o solo per alzare la posta.
Anche perché Barghouti libero sarebbe una vittoria di Hamas, ma anche un problema per la nomenclatura palestinese che governa su un popolo da decenni e che certo non spalancherebbe le braccia ad un leader che, per la sua storia e il suo presente, sarebbe scomodo per molti.