Esteri

Nuova Zelanda, stop alle corse dei levrieri: un segnale di speranza per il futuro

Barbara Leone
 
Eleganti, slanciati e dal portamento regale, i levrieri incarnano una bellezza soave che ha affascinato l’essere umano per secoli. Questi cani, simbolo di grazia e velocità, vantano una storia antica che si intreccia profondamente con quella delle civiltà umane. Originari del Medio Oriente, i levrieri erano già celebrati nelle pitture rupestri risalenti a più di 4.000 anni fa. Nell’antico Egitto, erano considerati animali sacri, tanto da essere sepolti accanto ai faraoni e raffigurati nei geroglifici come emblemi di prestigio e potere. Durante il Medioevo, furono elevati a status di simbolo nobiliare in Europa. La loro velocità e intelligenza li rendevano compagni ideali per la caccia, un’attività esclusiva della nobiltà. Tuttavia, proprio questa caratteristica li condannò a un destino di sfruttamento che continua a segnare la loro storia.
Ancor oggi in Spagna i levrieri (soprattutto i galgos) sono utilizzati per la caccia alla lepre. Una pratica, profondamente radicata nella cultura rurale, che rappresenta per molti spagnoli un rituale tradizionale. E che per i cani equivale, però, ad una condanna a morte lenta e dolorosa, che ha inizio proprio con le battute di caccia, nelle quali i poveri sono spinti al limite delle loro capacità fisiche. Poi, una volta ''usati'', vengono considerati ''inutili'', e quindi abbandonati o eliminati.

I dati forniti dalle associazioni animaliste spagnole sono drammatici: ogni anno, decine di migliaia di galgos vengono abbandonati, spesso in condizioni di estrema sofferenza. Alcuni vengono ritrovati con le zampe spezzate o lasciati morire di fame in aperta campagna; altri subiscono metodi di eliminazione ancora più crudeli, come l’impiccagione. Una pratica assurda e crudele, che negli anni ha sollevato indignazione a livello internazionale portando alla nascita di numerose associazioni impegnate nel salvataggio e nell’adozione dei galgos rinchiusi nelle cosiddette perreras: veri e propri lager, dove i cani vengono stipati per un numero di 5, 6 a volte pure 7 in gabbie piccolissime che a stento potrebbero ospitarne uno. Il tutto, senza cure, e molto spesso anche senza acqua e cibo.
E però, la Spagna non è l’unico Paese dove i levrieri sono vittime dell’umana crudeltà.

Con l’avvento della modernità, l’uso dei levrieri nella caccia è stato affiancato da un altro sfruttamento sistematico: quello delle corse. Introdotte nel XIX secolo, inizialmente come passatempo per le classi lavoratrici in Inghilterra, le corse di levrieri si sono rapidamente trasformate in una vera e propria industria multimilionaria dove questi animali sono spesso trattati come semplici strumenti per generare profitto.
Allevati in quantità eccessive per selezionare pochi campioni, molti cuccioli vengono scartati (tradotto: abbattuti) già in giovane età perché non considerati idonei alle competizioni. Durante la carriera agonistica, i cani vivono in condizioni di estrema deprivazione: confinati in gabbie anguste, negati alle interazioni sociali e sottoposti a stress fisico e psicologico costante. In alcuni casi, vengono costretti a indossare la museruola per evitare comportamenti autolesionistici dovuti allo stress. Per non parlare delle metodologie di allenamento, semplicemente brutali.

Alcuni servizi giornalistici hanno documentato pratiche inquietanti, come quella di legare i levrieri a trattori in movimento per testare la loro resistenza: chi non regge il ritmo viene considerato ''inutile'', e quindi anche in questo caso soppresso. Anche le gare stesse sono pericolose: le curve strette e i contatti fisici tra i cani durante le corse causano frequentemente infortuni gravi, che conducono a costose operazioni o, più spesso anzi quasi sempre, all'abbattimento degli animali.
Per fortuna, la crescente consapevolezza (che non è mai abbastanza) sulle loro condizioni ha portato negli ultimi anni a una riduzione delle corse in molti Paesi. In Italia, ad esempio, l’ultima struttura dedicata ai cinodromi ha chiuso nel 2002. Negli Stati Uniti, i cinodromi attivi si sono ridotti a pochi. Tuttavia, in nazioni come l’Australia, l’Irlanda e il Regno Unito, questa pratica persiste ancora, alimentata da interessi economici e da una tradizione ormai obsoleta.

In questo scenario, la recente decisione della Nuova Zelanda di vietare le corse di levrieri rappresenta un barlume di speranza, ed anche un punto di svolta storico nella tutela dei diritti degli animali. L’annuncio del governo, motivato dal ''tasso inaccettabilmente alto di infortuni'' e dalle gravi carenze nel garantire il benessere di questi animali, riflette un cambiamento significativo nella percezione collettiva di questa pratica, che addirittura molti chiamano ''sport''. Secondo quanto riferito dalle autorità neozelandesi, negli ultimi anni le revisioni condotte sul settore delle corse di levrieri hanno evidenziato una realtà drammatica: solo nel 2021, ben 232 cani sono morti e più di 900 hanno subito ferite gravi. Nel periodo successivo, tra il 2021 e il 2023, si sono registrati oltre 2.500 infortuni e quasi 30 decessi, dati che hanno spinto il governo a prendere una posizione netta e risolutiva.

A cominciare dal ministro delle corse (la sua qualifica è proprio questa), Winston Peters, che ha sottolineato l’urgenza di agire per proteggere gli animali, dichiarando: ''Nonostante i notevoli progressi compiuti dall'industria delle corse dei levrieri negli ultimi anni, la percentuale di cani feriti rimane costantemente alta ed è giunto il momento di prendere una decisione nell'interesse degli animali''.
Una decisione che, visti gli interessi economici in ballo, sicuramente non è stata presa alla leggera, ma che evidentemente rappresenta il risultato di un lungo processo di analisi e consultazione che ha portato alla presentazione di un disegno di legge per vietare progressivamente le corse entro i prossimi 20 mesi.

Oltre alla chiusura dell’industria, il governo si è impegnato a garantire una transizione responsabile per i circa 2.900 levrieri attualmente impiegati nelle corse. Verranno avviati programmi di adozione su larga scala per assicurare una nuova vita a questi animali, offrendo loro una seconda possibilità lontano dai cinodromi. Inoltre, saranno messe in atto misure per sostenere il personale dell’industria nella ricerca di nuovi impieghi, cercando di minimizzare l’impatto economico e sociale di questa decisione.

La decisione della Nuova Zelanda è stata accolta con entusiasmo dalle associazioni animaliste di tutto il mondo, che da anni denunciano le condizioni disumane a cui i levrieri sono sottoposti. L’organizzazione Safe, uno dei gruppi più attivi nella lotta contro le corse dei levrieri, ha definito questa mossa una “vittoria monumentale per i diritti degli animali”. Anche la SPCA (Society for the Prevention of Cruelty to Animals), la più antica organizzazione di beneficenza per il benessere animale del Paese, ha applaudito l’iniziativa, invitando altri Paesi a seguire l’esempio. Mentre la Greyhound Racing New Zealand, un'associazione di settore che comprende i club di corse di levrieri di tutto il Paese, ha dichiarato di essere addirittura ''devastata'' dalla proposta del governo dicendosi fortemente preoccupata ''per il potenziale vuoto culturale ed economico che questa decisione creerà''. Che va bene tutto, ma parlare di vuoto culturale mentre di fatto si torturano degli animali innocenti pare un tantinello esagerato. L’auspicio è che la decisione della Nuova Zelanda crei un precedente forte e influente e che, soprattutto, sollevi un interrogativo fondamentale: fino a che punto siamo disposti a sacrificare il benessere, e la vita stessa, degli animali in nome del profitto e delle cosiddette tradizioni? Intanto, la Nuova Zelanda ha tracciato una via. Ora spetta al resto del mondo seguirla.
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