La musica europea vive un momento di straordinaria vitalità. Secondo il nuovo report Music in the EU pubblicato da Ifpi, la Federazione internazionale dell’industria fonografica, nel 2024 i ricavi della musica registrata hanno raggiunto quota 5,7 miliardi di euro. Una crescita che non si vedeva da tempo, pari al 9,1% rispetto all’anno precedente, con un incremento record di 470 milioni in dodici mesi. Un risultato che mette l’Europa davanti agli Stati Uniti, dove l’aumento si è fermato a 220 milioni, meno della metà.
Musica, nel 2024 in Europa ricavi a 5,7 miliardi: crescita del 9,1%
L’Italia contribuisce a questa ascesa con un ritmo costante: il nostro Paese cresce dell’8,5%, poco sotto la media europea, ma comunque con un business che supera i 461 milioni di euro, confermandosi terzo mercato dell’Unione e avviandosi a chiudere l’ottavo anno consecutivo di espansione.
A trainare i ricavi è ancora una volta lo streaming a pagamento, che da solo rappresenta oltre i tre quarti della crescita complessiva. Eppure i margini restano ampi: soltanto un cittadino europeo su quattro è abbonato a una piattaforma, una percentuale molto più bassa rispetto al 46% del Regno Unito e al 52% degli Stati Uniti. Oltre ai ricavi, impressionano gli investimenti.
Le etichette hanno destinato più di 7,5 miliardi di euro allo scouting di nuovi artisti e alle attività di marketing, a conferma di un’industria che continua a credere nel futuro. Una delle caratteristiche più sorprendenti del panorama europeo è la forza della produzione domestica. Secondo lo studio, più della metà dei brani presenti nelle classifiche Top 10 nazionali appartiene ad artisti locali, con un ulteriore 7% proveniente da altri Paesi dell’Unione. Italia, Finlandia e Ungheria sono i Paesi che più sostengono le proprie scene musicali, e l’Italia, in particolare, è indicata come avanguardia in questa tendenza. Nel resto del mondo, invece, la quota di artisti locali nelle classifiche scende al 47,2%, segno che in Europa la musica trova un terreno di radicamento più forte.
Lodovico Benvenuti, direttore delle relazioni multilaterali e responsabile per l’Europa di Ifpi, ha sottolineato come il consumo di musica incisa sul continente sia strettamente legato al luogo di produzione, generando valore economico e culturale. “Ogni euro generato o investito direttamente dalle case discografiche in Europa – ha ricordato – porta a un ulteriore contributo al Pil di 1,80 euro in altre parti della catena del valore musicale. È una conferma del ruolo strategico dell’industria per i Paesi dell’Unione”.
Il confronto con le altre aree del mondo accentua ulteriormente la portata del risultato europeo. L’aumento di 470 milioni di euro supera non soltanto quello statunitense, ma anche la somma degli incrementi registrati in Cina, Brasile e Regno Unito. L’Europa, insomma, si conferma un motore di crescita per l’intero settore. Ma il futuro porta con sé nuove sfide, a partire dal ruolo dell’intelligenza artificiale. Se da un lato l’IA può diventare uno strumento prezioso per la creatività e l’innovazione, dall’altro si moltiplicano i rischi legati all’abuso delle tecnologie.
Nel report si parla esplicitamente dell’ascesa di deepfake e cloni vocali che sfruttano la voce, l’immagine e il nome degli artisti senza consenso, generando contenuti che rischiano di confondere i fan e di minare il valore del lavoro autentico. Victoria Oakley, amministratrice delegata di Ifpi, ha lanciato un appello chiaro: “L’Europa è un hub di creatività musicale e diversità culturale. Per restare leader dobbiamo avere politiche forti che mettano l’IA al servizio della musica. Abbiamo un’occasione unica: guidare il futuro della cultura, dei creatori e dell’innovazione”. Un invito che si intreccia con la campagna Stay true to the act, stay true to culture, sostenuta da numerosi artisti europei, tra cui Laura Pausini, per chiedere a Bruxelles di difendere l’AI Act e garantire che la tecnologia non si trasformi in un avversario della creatività.