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Medio Oriente: il mondo col fiato sospeso, aspettando la mossa di Donald Trump

Diego Minuti
 
Medio Oriente: il mondo col fiato sospeso, aspettando la mossa di Donald Trump

La prossima mossa spetta a Donald Trump che ieri, dopo avere presieduto una riunione con i suoi più stretti collaboratori, ha preso tempo su quale possa essere la sua reazione alla ribadita volontà di Teheran di non cedere, dopo l'attacco di Israele.
Pur affermando in precedenza che la sua pazienza "è già finita" con Teheran, Trump ha indicato di non aver ancora preso una decisione definitiva sull'eventuale coinvolgimento degli Stati Uniti.

Medio Oriente: il mondo col fiato sospeso, aspettando la mossa di Donald Trump

Il principale obiettivo di Trump è quello di evitare che la guerra vada avanti, così come per lui è importante non inimicarsi quella parte del suo elettorato (quello che obbedisce all'imperativo ''America First'', contrario ad ogni coinvolgimento in qualsiasi conflitto che non riguardi direttamente gli Stati Uniti) che non accetterebbe di vedere i suoi soldati impegnati in una guerra ''lontana''.

In questo momento, quindi, Trump si trova davanti ad un dilemma difficile da risolvere perché è consapevole che solo la forte pressione che gli Stati Uniti possono esercitare - soprattutto su Israele - è in grado di fermare la guerra, ma, in caso contrario (se cioè Gerusalemme considerasse la distruzione del regime degli ayatollah necessaria per garantire la sicurezza del suo futuro) , rischia di trovarsi invischiato in una guerra che, in America, pochi capirebbero, almeno in questo momento storico.

C'è poi anche un altro aspetto che può condizionare le scelte della Casa Bianca nel breve periodo.
Dopo avere detto e ridetto, in campagna elettorale, che avrebbe chiuso la partita delle guerre nel giro di poche ore dopo il suo insediamento (una esagerazione, una delle tante che Trump usa nel suo schema di comunicazione, ma pur sempre chiarificatrice delle sue strategie) , ora si trova davanti ad una evidente realtà: davanti a contendenti così determinati a difendere le proprie politiche, anche il capo della più potente nazionale del mondo può non onorare le sue promesse di imporre la pace.

Ma potrebbe ancora farlo se, come ha fatto capire, decidesse di dare una mano a Israele, aiutandolo sostanzialmente nel conflitto, per risolverlo in tempi brevi (fornendo ad esempio armamenti in grado di consentire la cancellazione, per decenni, del programma nucleare), ma non mandando gli stivali americani sul terreno.

Le opzioni quindi stanno diminuendo, anche perché le minacce di Trump non sembrano avere scalfito (almeno apparentemente) la volontà dell'Iran di non cedere. La stessa Guida Suprema , l'ayatollah Ali Khamenei, dicendo, in un discorso rivolto agli iraniani, che il Paese non si arrenderà, ha lasciato capire che se, sentendosi ormai con le spalle al muro, l'Iran risponderebbe.

E la risposta, come tutto sembra lasciare presagire, potrebbe riguardare i militari americani dispiegati nella regione, quindi facilmente raggiungibili da un attacco missilistico, senza avere lo scudo dei sistemi che oggi proteggono Israele, anche se non completamente.

Ed a quel punto, altro che pace: gli Stati Uniti sarebbero costretti a reagire sul terreno, con conseguenze ad oggi non valutabili. Peraltro Israele, che dopo avere preso il controllo dei cieli iraniani e forte dei risultati dei suoi attacchi ai siti nucleare, ora sembra volere alzare l'asticella dei suoi obiettivi.

Come ha fatto capire, senza nemmeno perdere tempo cercando formule diplomatiche, l'ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Yechiel Leiter, che ha sottolineato la necessità vitale per il suo Paese di eliminare non solo la capacità dell'Iran di produrre armi nucleari, ma anche la sua capacità di produrre missili balistici.

"Arrivano dal cielo e creano danni incredibili - ha detto - Anche quella capacità produttiva deve essere eliminata. Non possono avere le armi che possono distruggere Israele, cosa che affermano di avere e che vogliono fare ogni giorno".

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