Da domenica l'accordo per il cessate il fuoco a Gaza e nella Striscia diventerà realtà.
Una realtà, come sempre in quella martoriata area, sempre a rischio di incidenti, ma il fatto che sia stata frutto di un lunghissimo negoziato, di cui conosciamo solo quel che si è voluto fare sapere, potrebbe dare rassicuranti margini che possa resistere, nel tempo, alle avversità.
Da domenica, quindi.
Parole che avremmo voluto sentire da molto tempo prima, per evitare il bagno di sangue che è seguito allo spaventoso e mai troppo condannato attacco del 7 ottobre, che ha avuto una pianificazione lunga di anni e che solo tra chissà quanto sapremo cosa abbia realmente comportato per gli ostaggi, sia quelli che torneranno da vivi in Israele che quelli che, seppure morti, restano per Hamas pur sempre una orrida moneta spendibile nella trattativa.
Medio Oriente: quanto ancora è lungo il cammino dal cessate il fuoco alla pace?
Le scene di giubilo che ieri sera hanno accompagnato l'annuncio del buon esito del negoziato erano scontate perché, da sempre, il soccombente celebra una tregua come fosse una vittoria.
Non è, anche questa volta, il caso, perché Hamas può festeggiare solo la nefasta lungimiranza dei suoi capi (quelli che ancora restano, dopo la esiziale campagna di omicidi mirati scatenata da Israele) che, lanciano i miliziani in territorio israeliano, hanno chiesto di uccidere e usare violenza, sempre a favore di telefonini e telecamere, ma di salvare la vita a quante più persone potenzialmente utilizzabili come ostaggi.
Così è stato e la giusta esecrazione che i bombardamenti e le tattiche di strangolamento urbano attuato da Israele nei confronti della popolazione gazawi troppo spesso ha cancellato la sanguinante memoria di chi è stato, se ancora vivo, nelle mani di Hamas per oltre un anno e di chi, invece, è morto, in circostanze che qualcuno dovrà pure chiarire.
Comunque, viva la pace, perché la regione non poteva sopportare ancora un conflitto che è stato crudele, anche per vie indirette perché vedere i bambini palestinesi combattere, tra di loro, pur di portare a casa una ciotola di una brodaglia che comunque era cibo, è un'offesa all'umanità, sia come concetto astratto che come l'insieme delle persone che vivono in questo pianeta.
La guerra non guarda in faccia nessuno: lo ha fatto Hamas, lo ha fatto Israele.
E questo non suoni come una giustificazione. Il domani già incalza e quello dei gazawi non è ancora chiaro.
Certo, ora arriveranno finanziamenti in grande quantità per la ricostruzione, ma ci sarà qualcuno in grado di garantire che il fiume di denaro non serva a ricostituire gli arsenali, ad arruolare nuova carne da cannone, a rafforzare vecchie leadership?
E il domani potrebbe non essere ''felice'' per Benjamin Netanyahu, sebbene potrà contare, di qui a qualche giorno, di un vecchio amico e di un potente alleato alla Casa Bianca.
Ma Donald Trump sarà pure un amico, ma fino ad un certo punto perché Israele è solo un tassello del complicato mosaico mediorientale. E la carta bianca di cui sino ad oggi ha goduto Bibi potrebbe avere una scadenza, perché il modo spregiudicato con cui ha condotto il conflitto - facendogli travalicare le pur labili regole di una guerra - potrebbe presentargli il conto. In patria e fuori.