Se facessimo un'indagine a tappeto per capire se l'acqua che beviamo sia contaminata da un cocktail di virus, dalla maleducazione, all'intolleranza, al razzismo e alla furbizia?
Perché, diciamocelo, la gente non ci sta più con la testa, con l'aggravante che certi comportamenti sono bonariamente giustificati con quello che, per l'italico popolo, è alla base di tutto: la mamma.
Un'altra madre che dagli spalti instilla odio: ma cos'ha di tanto folle questo Paese?
Ma, come quando vai dal concessionario con l'intenzione di comprare un auto, ci sono vetture e vetture e quindi, se vorresti il turbo, copertoni larghi, strumentazione iper-tech, sedili riscaldati e magari lo scomparto per il whisky, ti devi accontentare dell'utilitaria, quella che, in salita, per farla andare più forte, devi mettere fuori il piede e spingere.
Allo stesso modo ci sono mamme e mamme.
Ci sono le madri come Fiona May che s'è vista superare dalla figlia Larissa agli europei di atletica leggera e ha festeggiato come non mai.
E poi ci sono madri, massì chiamiamole così, nonostante tutto, come quella che, assistendo alla partita di basket della figlia, l'otto marzo (vedi la coincidenza, la Giornata delle donne...), non trovandosi d'accordo con un fischio dell'arbitra, ha pensato bene di consigliarle, come attività lavorativa, quella di operatrice del sesso.
Anche se lei, e l'hanno sentita in molti, si è limitata - educazione e cultura sono quel che sono - a dirle "Vai a fare la prostituta".
Ora quest'arbitra è un tipo che non transige (se no avrebbe fatto altro nel suo tempo libero), tanto che un paio di mesi fa era stata vittima di un'altra scarica insulti, che reggevano il confronto con il linguaggio che, un tempo, veniva etichettato come quello degli scaricatori.
Comunque quando ancora mancava parecchio alla fine dell'incontro e la partita era ancora in equilibrio, l'arbitra s'è sentita consigliare dalla madre di une delle cestiste di sbarcare in altro modo il lunario, che non fidando sul gramo gettone da direttore di gara.
Lei ha sentito e, scoppiata in lacrime, è corsa negli spogliatoi. C'è voluto del tempo per convincerla a tornare sui suoi passi, ma era andata completamente nel pallone, tanto che ha cominciato a fischiare solo a favore della squadra dove giocava la figlia dell'insultatrice, che alla fine ha vinto.
Le reazioni sono state quelle scontate: la Federazione investita del caso; le scuse della società che ha vinto e presa di distanza dalle intemperanze del pubblico; la solidarietà del comitato regionale della Fip.
Un episodio brutto, anzi proprio orrendo, che sembra legato ad un modo di pensare che non è raro, perché gli episodi di violenza verbale legati ad eventi sportivi stanno moltiplicandosi e a nulla valgono impegni e promesse delle autorità. E se della cosa di occupasse, invece che quella sportiva, la giustizia ordinaria?
Se la madre della giocatrice che, qualche settimana fa, gridò "sembri una scimmia" ad una ragazza di colore, avversaria della figlia, piuttosto che essere allontanata dalle manifestazioni sportive, finisse davanti ad un tribunale per un crimine - sebbene minore - di odio?
Nessuna condanna ad una pena detentiva. Ma, per dire, 200 ore di lavori sociali in un centro di assistenza per persone disagiate sarebbero una bestemmia?