Ieri, a Milano, con un dispiegamento di forze che, alla fine, visto il clima tranquillo, è stato fin troppo imponente, è stata messa la parola fine ad un epoca, quella del Leoncavallo, il centro sociale diventato, nell'arco di decenni, un punto di aggregazione per giovani che gravitavano nell'area della sinistra (ma non necessariamente quella estrema), ma anche il simbolo di come, in Italia, troppo spesso la comprensione per certe espressioni di dissenso è andata troppo oltre, tracimando nell'accettare l'illegalità come fosse un male minore.
Sul Leoncavallo c'è un Stato che vince e un altro che ha perso
L'illegalità che, nel caso del Leoncavallo, si è determinata nel momento in cui i giovani del centro sociale hanno preso possesso di un edificio di proprietà privata, quindi creando un danno economico.
Ma la vicenda del Leonka, come viene chiamato da chi lo frequenta, nel tempo è diventata altro. Si è trasformata in un fenomeno di costume, sia pure con tutti i distinguo di questa definizione, e, quindi, di per sé stesso, l'emblema di una controcultura, di una occasione per cercare strumenti alternativi per mostrare dissenso rispetto al canone comportamentale della società italiana.
Con questo non si vuole dire che quel che accadeva dentro il centro sociale e che veniva trasportato e proposto all'esterno sia stato sempre e comunque un modello positivo, se così si vuole intendere una cultura alternativa rispetto a quella dominante, ma solo che dentro questo grande spazio le idee nascevano, si confrontavano, magari deflagravano nel dibattito e, per questo solo fatto, erano un momento di riflessione sulle problematiche giovanili in una metropoli come Milano.
Ma tutto questo non significa affatto che tutto quel che nasceva al Leoncavallo fosse da accettare acriticamente, come ha sempre fatto gran parte della sinistra perché spesso, dal suo interno, partivano campagne di opposizione, anche fisiche, a questo o quel progetto politico, da qualsiasi parte venisse e che raccoglieva il dissenso dei giovani del centro sociale.
Però tutto questo non poteva cancellare un dato di fatto: la struttura era occupata abusivamente, con i suoi muri comprati da un privato (una società) che, dopo avere pagato, voleva metterla a reddito. Cosa che non ha potuto fare perché, sino a ieri, tutti i tentativi di sgombero sono falliti, grazie ad acute risposte in sede giudiziaria opposte alle fondate richieste della società di entrare in possesso del bene.
Alla fine i rinvii agli sfratti sono stati 130, rappresentandosi in questo numero la sconfitta dello Stato che, pur avendone gli strumenti, ha abdicato al suo ruolo di garante dei cittadini, siano essi singoli soggetti o, come nel caso del Leoncavallo, imprenditori. Uno Stato inadempiente al punto da essere punito da giudici - che hanno inflitto una multa di tre milioni di lire, in favore dei proprietari della struttura -, che hanno ritenuto il Ministero dell'Interno responsabile per l'offesa alla legalità di una occupazione abusiva che si è protratta per decenni.
Ieri, si potrebbe quindi dire, lo Stato ha rimesso le cose a posto, ma, allo stesso modo, si dovrebbe rimarcare che questo rialzare la testa è arrivato con colpevole inadempienza. Una vittoria di oggi, a fronte degli schiaffi subiti per oltre trent'anni, anche quelli in cui a governare era il centro-destra, rispetto al destra-centro di oggi.
Che quindi oggi si celebri, parlando di una vittoria dello Stato (come ha fatto la stessa Giorgia Meloni), non cancella quanto accaduto. Anzi non trova giustificazione, perché essa è offuscata dagli errori di ieri, che hanno segnato una sconfitta delle Istituzioni. Quelle stesse che oggi dicono che non possono esistere zone franche e che le occupazioni abusive non sono più tollerate.
E sia, ma ora, risolta spettacolarmente la vicenda del Leoncavallo, bisognerà mettere mano a tutti i dossier delle occupazioni abusive. Come quella di Roma che vede protagonista, per sua stessa ammissione, CasaPound, movimento politico di estrema destra che non solo non si ''pente'', ma rivendica il fatto di avere, con l'occupazione di uno stabile, dato una abitazione a venti famiglie.
CasaPound, peraltro, marca una differenza sostanziale con il Leoncavallo, dicendo che a Milano è stato occupato un immobile di proprietà di un privato, mentre a Roma il palazzone oggi cuore del movimento di destra è di proprietà del Demanio, che lo avrebbe abbandonato.
Una spiegazione singolare perché, a questo punto, per CasaPound tutti gli stabili di proprietà pubblica e non utilizzati possono essere tranquillamente occupati, come se lo Stato possa essere depredato a differenza di un privato.