Forse per la prima volta nella storia repubblicana (e di cose strambe questa Italia ne ha viste tante), la candidatura a presidente di una Regione, importante quale è la Lombardia, quando l'uscente, per il limite dei due mandati non può ripresentarsi al giudizio degli elettori, viene consegnata ad un partito, sebbene il più forte di uno schieramento, anzi quasi egemone, con un anticipo addirittura di tre anni.
Regionali Lombardia: Presidenza, scacco alla Lega, ma la base - e non solo - rumoreggia
Questo sta accadendo, anzi è proprio accaduto in quella Regione che la Lega considera un suo personale feudo, a dispetto del fatto che anche lì il partito stia subendo una evidente erosione di voti e consensi. Però da qui ad accettare di concedere a Fratelli d'Italia il diritto di indicare il futuro aspirante presidente - con la doverosa premessa che, se si votasse oggi, il centrodestra sfonderebbe - ce ne corre, ma Matteo Salvini ha accettato, avendone in cambio luce verde per proporre un suo nome per la Regione Veneto che, orfana del doge Luca Zaia, resterà ancora in orbita leghista.
Un ''do ut des'' che esiste da che la politica è nata (quindi parliamo del primo scambio di cortesie e promesse tra uomini di Neanderthal per chi dovesse essere il capo della tribù), ma che, almeno in questo caso, è un frutto che, acerbo, ma comunque mangiabile oggi, domani potrebbe andare a male e con esso la catena di comando di via Bellerio, sede nazionale della Lega.
Il nodo delle candidature, se si parla di coalizioni, è sempre il banco di prova della saldezza delle alleanze ed esso è anche l'indicatore di quanto i singoli partiti pesino e di come vogliano che questa condizione venga riconosciuta dagli altri. Ma questi ragionamenti si fanno alla vigilia o giù di lì delle trattative, non certo anni prima, con il rischio concreto che il premio ottenuto oggi (Veneto) possa condizionare non solo la Lombardia, ma anche altre scelte nelle quali Fratelli d'Italia possa fare valere il proprio ruolo e solo, dando prova di magnanimità, lasciare le briciole agli altri.
Dicendola in modo semplice, oggi Salvini può ''reclamare'' il Veneto per mettere a reddito il peso elettorale e di seguito personale di Luca Zaia - che se presentasse una sua lista rischierebbe di fare saltare il banco della coalizione -, ma che questo comporti di consegnare la Lombardia a Fratelli d'Italia è un fatto politicamente anomalo.
E cerchiamo anche di spiegare il perché.
Nel momento in cui l'accordo è stato raggiunto, va da sé che Attilio Fontana, pur guidando comunque la Regione da qui alla scadenza naturale della legislatura, sarà un presidente dimezzato. Non per le cose che intende fare e che sicuramente porterà avanti, ma per l'effetto psicologico avverso e condizionante di reggere un ruolo e le relative responsabilità non per rafforzare com'è naturale il suo partito, la Lega, ma per prepararsi a passare il testimone ad un ''Fratello d'Italia'', che ne erediterà il patrimonio di consensi che potrebbe accumulare.
Per dirla chiaramente, Fontana vedrebbe il suo ruolo - che regge dal 2018 - ridimensionato a semplice portatore d'acqua per un altro candidato presidente - e questo ci può anche stare - , ma espressione di un partito diverso dal suo. Una situazione assolutamente impensabile per i leghisti che cominciano a rumoreggiare contro l'accordo, come ovvio, ma anche contro chi lo ha favorito oppure, per essere più aderenti alla realtà, subìto senza alzare la voce.
Ma, a leggere le indiscrezioni del Corriere della Sera, a mostrare stizza per quanto la sorte avversa sta riservando alla Lega è Massimiliano Romeo, che veste i panni sia di capogruppo del partito al Senato, che di segretario del partito lombardo. Una duplice ruolo nel quale, in questa vicenda, fa prevalere quello locale sull'altro di uomo del partito nazionale, e da segretario della Lega lombarda non può certo accettare supinamente, ma soprattutto in silenzio, quella che la base considera una umiliazione, accettata supinamente senza ribellarsi.
Romeo, dice il Corriere, ai suoi, ai leghisti lombardi, ha parlato chiaro, usando argomenti che, dall'esterno, non possono che apparire fondati. Il primo è che, in questo modo, si crea una competizione tra due Regione sorelle, come Veneto e Lombardia, alla quale nessuno vuole dare vita. Il secondo, più impattante politicamente, è che quanto sta accadendo ''non fa bene a nessuno e di certo non aiutano la coalizione di governo''.
Basterebbero solo queste parole a delineare un clima teso tra Milano e Roma, ma il Corriere ne aggiunge delle altre, ben più pesanti: ''E' come se dicessimo ai cittadini che consideriamo la partita già chiusa, una sorta di formalità, mentre abbiamo il dovere di continuare a lavorare per dare risposta alle istanze del territorio su sanità, trasporti, infrastrutture. Questo non è il momento di pensare alla bandierine, ma di tenere a testa bassa e pedalare''.
Con la stoccata finale che più che un ammonimento è un altolà: ''A chi toccherà guidare la Lombardia lo decideremo fra tre anni, scegliendo il candidato migliore''.