Economia

La lenta agonia dell'Ilva è un ammonimento per tutto il Paese

Redazione
 
La lenta agonia dell'Ilva è un ammonimento per tutto il Paese

I cortei di lavoratori dell'industria dell'acciaio italiana che- da Taranto a Genova - hanno segnato la giornata odierna sono l'ennesima conferma del fallimento di un progetto. E di questo fallimento qualcuno dovrà pure accettarne la responsabilità. Cosa affatto probabile.

La lenta agonia dell'Ilva è un ammonimento per tutto il Paese

La situazione del comparto italiano dell'acciaio è nota, dovendo fare i conti con la concorrenza straniera e davanti alla mancanza di una progettualità di lungo respiro di cui, invece, ci sarebbe stato assoluto bisogno.
Oggi, invece, l'Ilva di Taranto, con migliaia di operai in cassa integrazione con una prospettiva di reintegro sul posto di lavoro molto vicina allo zero, è il monumento all'insipienza, alla sottovalutazione del problema, all'esasperazione delle posizioni delle parti in causa, ciascuna animata dalle migliori intenzioni che però, alla fine, hanno subito un lento processo di reciproca elisione.

Il futuro di Taranto, mai come in questi giorni, è condizionato da fattori ai quali il governo non può o non sa trovare delle contromosse reali e non ipotetiche, perdendo di vista che al centro di ogni sua iniziativa devono restare due fattori: occupazione (quella vera, non drogata dal ricorso agli ammortizzatori sociali che sono l'annuncio di una pietra tombale sul futuro dei lavoratori) e salvaguardia ambientale.

Il resto sono soltanto parole.
L'unico fatto certo è che, con il passare del tempo, l'Ilva ha assunto la caratteristica della polvere sotto il tappeto, di cui si parla solo quando esplode la protesta delle maestranze, davanti ad una condizione che, con l'incertezza del futuro lavorativo, condiziona la vita quotidiana della famiglie, che non hanno prospettive, che non possono fare progetti, che vedono buttati via anni di impegno che, per chi ha superato la soglia critica dei cinquant'anni si traduce in un domani senza la speranza di tornare nel circuito attivo.

Il ministro Urso, che fa quel che può, come uomo e come componente del governo, non riesce a trovare una soluzione che dia risposte soddisfacenti a tutte le parti, perché i pochi che timidamente hanno mostrato interesse a rilevare gli impianti di Taranto lo vorrebbero fare alle loro condizioni, quasi chiedendo gli si ceda gratuitamente l'acciaieria, che, a quel punto, avrebbe veramente le ore segnate, dal momento che la grande finanza di etica si interessa poco o nulla.

Resta quindi aperta, realisticamente, la sola strada della nazionalizzazione, dello Stato che subentri al privato, facendosi però carico di un processo di transizione dai costi ancora nebulosi e con la prospettiva di arrivare sul mercato con un prodotto che potrebbe non reggere il confronto con i prezzi stracciati dell'acciaio ''Made in qualcos'altro''.

Del futuro dell'Ilva si tornerà a parlare a Palazzo Chigi il 28 ottobre, ma, guardando con pragmatismo al delicato dossier, la sola possibilità di un esito promettente e non certo soddisfacente è che l'esecutivo metta sul tavolo un disponibilità nuova e più forte di farsi carico del dossier. Che però rischia di finire nel fascicolo dei problemi sui cui fioccano promesse e assicurazioni che poi si perdono per strada.

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