Dopo oltre due decenni di domanda elettrica stabile o in lieve calo, ci affacciamo a un’epoca di crescita strutturale nei consumi energetici. Il driver principale è lo sviluppo massiccio dei data center alimentati dall’intelligenza artificiale (IA), che richiedono quantità crescenti di elettricità, creando forti criticità sul fronte della decarbonizzazione e problemi alle infrastrutture globali, che non sono pronte a gestire una tale massa di energia. In particolare, quelle europee, costruite decenni fa, sono obsolete e vulnerabili, come ci ha dimostrato il blackout che lo scorso aprile ha paralizzato trasporti, comunicazioni e servizi essenziali in Spagna e parte del Portogallo. Secondo la Commissione Europea, saranno necessari oltre 220 miliardi di euro all’anno di investimenti nelle reti di trasmissione e distribuzione fino al 2050 per sostenere la transizione energetica. Negli Stati Uniti, il National Transmission Planning Study del Dipartimento dell’Energia indica che un’espansione del 50–100% della rete entro il 2035 rappresenta il percorso più efficiente per garantire affidabilità, comportando una spesa cumulata fino a 1.400 miliardi di dollari. La soluzione al maggior fabbisogno energetico è aumentare la quota di energia pulita, ma la strada per raggiungerne il pieno potenziale è lunga. Nel frattempo, si dovrà investire nei leader del clean tech che operano in settori diversi e possiedono le tecnologie per ottimizzare le reti, oltre che per abilitare, di fatto, la transizione green, che resta ineludibile.
Il boom della domanda di energia trainata dai data center: un fenomeno globale
Partiamo dai numeri per spiegare quello che resta un megatrend. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, entro il 2026 i data center potranno raddoppiare il loro consumo elettrico rispetto al 2022, toccando i 1.000 TWh, pari alla domanda annuale del Giappone. L’esempio di Google è emblematico: dal 2019 al 2024, le sue emissioni di CO₂ sono aumentate del 48%, nonostante gli investimenti in rinnovabili, a causa di una forte crescita dei consumi e di un’inadeguata decarbonizzazione della supply chain. Un prompt su ChatGPT è circa dieci volte più energivoro di una ricerca su Google. In un mondo dove tutti usano l’IA, il problema energetico diventa emergenza. Non basta più sostituire le fonti fossili: oggi è necessario aggiungere nuova capacità produttiva, in modo rapido, sostenibile e accessibile.
Secondo un’analisi di Goldman Sachs, la domanda di energia elettrica anche in Europa, dopo 15 anni di declino, è destinata a crescere. Le richieste di connessione alle reti di distribuzione da parte di nuovi data center sono aumentate in modo esponenziale. Sulla base dei dati raccolti dalle utility europee, si stima una pipeline di data center pari a circa 170 GW, equivalente a un terzo dell'attuale domanda elettrica europea. Anche considerando una realizzazione parziale del 25-50%, ciò comporterebbe un aumento della domanda di energia del 10-15% nei prossimi 10-15 anni.
Il ruolo e le opportunità per l’Italia
Anche l’Italia si prepara a questa svolta strutturale, posizionandosi sempre più come snodo strategico nella nuova geografia digitale. Milano, in particolare, è diventata un punto nevralgico per l’espansione dei data center nel Mediterraneo, con una potenza installata che nel 2024 ha raggiunto i 238 MW IT (+34% rispetto al 2023), superando città come Madrid e Varsavia. A trainare questa crescita sono la posizione geografica favorevole, la crescente disponibilità di energia rinnovabile e l’approdo di cavi sottomarini strategici come BlueMed e 2Africa, oltre agli investimenti dei big tech globali. Secondo il report 2025 del Centro Studi RINA sui Data Centre in Italia, nel biennio 2025-2026 si prevedono oltre 10 miliardi di euro di investimenti in nuove infrastrutture, con un’attenzione crescente alla sostenibilità: alimentazione 100% rinnovabile, raffreddamento ad acqua, recupero del calore per il teleriscaldamento urbano. Il futuro dell’energia, insomma, passa anche da questi nuovi poli tecnologici: luoghi in cui la domanda elettrica non è solo una variabile tecnica, ma diventa parte integrante di una strategia nazionale per la resilienza, la decarbonizzazione e la competitività.
Mercati finanziari: il ritorno ai fondamentali
Come si muoveranno i mercati ora? Intanto, osserviamo che - dopo un lungo periodo di incertezza normativa e forte volatilità - si intravedono segnali di stabilizzazione. Le regole per il settore delle installazioni solari ed eoliche sono ora più chiare di quanto appariva dopo l’elezione di Trump. Il Big Beautiful Bill del 4 luglio 2025, la legge di Bilancio americana, rappresenta un evento di clearing normativo che consente di tornare a investire con maggiore visibilità.
In un mercato azionario in rialzo, i titoli delle clean tech e delle rinnovabili sono oggi su valutazioni depresse nonostante i fondamentali in miglioramento. Questo crea opportunità per un posizionamento strategico. Secondo Morgan Stanley, il comparto europeo delle utility - che nel 2024 ha sottoperformato rispetto a quello statunitense (S&P Utilities +20% contro -5% delle controparti europee) - potrebbe beneficiare di un repricing positivo grazie all’incremento strutturale della domanda e a una migliore allocazione di capitale nel rinnovabile. Il segmento solare onshore e l’eolico terrestre sono i comparti preferiti. Più cautela, invece, su offshore wind e solare residenziale. La componentistica, grazie alle restrizioni al commercio internazionale, beneficia di una spinta alla produzione locale – soprattutto negli Stati Uniti.
Nei prossimi 12-18 mesi ci si attende un ritorno ai fondamentali, con un rimbalzo del settore. Il calo dei tassi di interesse dovrebbe, inoltre, favorire le valutazioni delle aziende più esposte alla transizione energetica. Guardando più avanti, sono tre le forze che potranno plasmare i rendimenti: la velocità con cui i governi renderanno bancabile il nucleare di nuova generazione, l'effettiva rimozione dei “colli di bottiglia” autorizzativi per le rinnovabili e il prezzo del carbonio, destinato a influenzare il costo del capitale fossile. Rischi e opportunità si intrecciano, ma convergono su un punto fermo: chi possiede, ottimizza o finanzia l'infrastruttura critica della nuova economia digitale siede oggi al centro della prossima «gold rush» energetica. E la storia, come i mercati, premia chi arriva preparato.
Investire sugli abilitatori della transizione
Con il suo fondo d’investimento aperto specializzato nella transizione energetica, SpesX Energy Transition, FIEE Sgr - società di gestione che investe nei settori dell’efficienza e transizione energetica - è attiva su tutta la filiera dell’energia, e sta sviluppando un particolare focus su quelle società che supportano l’alimentazione energetica dell’Intelligenza Artificiale. Il fenomeno, seppur più evidente negli Stati Uniti, ha ramificazioni globali. Anche in Europa il tema è rilevante, ed è proprio qui che si scorgono opportunità interessanti. Il portafoglio è oggi diviso equamente tra Stati Uniti ed Europa. Tra le principali posizioni: Vistra, Constellation Energy, Talen, operatori americani di centrali nucleari che hanno siglato accordi di fornitura a lungo termine con i grandi hyperscaler tecnologici. Seguono Vertiv, azienda leader nella gestione energetica e nel raffreddamento dei data center, Nextera Energy - uno dei maggiori sviluppatori di energia rinnovabile negli Stati Uniti - First Solar, produttore americano di pannelli solari - che beneficia degli incentivi alla produzione domestica - ed E.ON: utility tedesca regolata, attiva nella distribuzione e nel rinnovamento delle reti elettriche europee.