L'industria metalmeccanica e meccatronica italiana naviga in acque turbolente, alle prese con un indebolimento dell'attività economica globale e le incertezze legate alle nuove politiche protezionistiche. I risultati della 174ª edizione dell’Indagine congiunturale di Federmeccanica, diffusi ieri, dipingono un quadro di marcata sofferenza, nonostante lievi segnali di ripresa congiunturale.
Federmeccanica: produzione meccanica giù del 5,8%, export in lieve crescita (+1,3%)
I primi mesi del 2025 sono stati segnati da un generale indebolimento dell'economia mondiale. Le attese per l'anno in corso sono state "ulteriormente ridimensionate", principalmente a causa degli annunci di nuovi dazi all’import da parte dell’amministrazione statunitense, che minacciano "pesanti ricadute sull’economia mondiale", oltre alle incertezze sulla loro effettiva applicazione. Nel panorama italiano, l'attività industriale complessiva ha registrato una variazione congiunturale positiva (+0,4%), che ha parzialmente compensato la flessione di fine dicembre.
Tuttavia, il confronto tendenziale rivela una diminuzione del 3,4% nei livelli produttivi. La situazione si presenta ancor più critica nel settore metalmeccanico. Sebbene i volumi di produzione siano aumentati dello 0,7% rispetto al trimestre precedente (quando si era registrato un calo dell'1,8%), il confronto con l'analogo periodo del 2024 evidenzia una netta contrazione del 5,8%. Le dinamiche produttive sono state eterogenee tra i diversi comparti, riflettendo la vasta gamma di attività e le differenti dimensioni delle imprese che compongono il settore. Si osserva una "forte disarmonia tra l’analisi congiunturale e quella tendenziale della produzione metalmeccanica". Nonostante la maggior parte delle attività settoriali abbia mostrato variazioni congiunturali positive nel trimestre, "il confronto con l’analogo periodo dell’anno precedente sottolinea lo stato di forte sofferenza nel quale continua a versare l’industria metalmeccanica". Solo la Metallurgia e gli Altri mezzi di trasporto hanno registrato variazioni tendenziali positive, seppur modeste.
Anche a livello europeo, la produzione metalmeccanica continua a riscontrare difficoltà. Sebbene la flessione congiunturale nell'Unione Europea sia stata attenuata (-0,2% nei primi tre mesi del 2025, rispetto al -2,7% del primo trimestre 2024), "continua a riscontrare delle difficoltà nei principali paesi membri". La Spagna ha segnato un calo dell'1,9%, la Francia un più modesto -0,2%, mentre Germania e Italia hanno registrato variazioni congiunturali positive (+0,4% e +0,7% rispettivamente). L'export complessivo dell'Italia nei primi tre mesi del 2025 ha mostrato una "leggera ripresa", ma le prospettive sono offuscate dalle politiche commerciali degli Stati Uniti.
I nuovi dazi "non solo per gli effetti diretti sulle nostre esportazioni, ma anche per quelli indiretti attraverso i nostri principali partner commerciali", preoccupano gli operatori. Nel primo trimestre 2025, l'export del settore metalmeccanico è cresciuto dell'1,3% rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente, con un aumento dell'import del 2,1%, generando un avanzo commerciale di 11,2 miliardi di euro. Le vendite all'estero di prodotti metalmeccanici sono aumentate in modo più marcato verso i mercati extracomunitari (+1,6%), rispetto a quelli verso i paesi UE (+1,1%).
Le esportazioni verso la Germania hanno ripreso (+7,1%), mentre quelle verso gli Stati Uniti si confermano negative (-1,1%). L'indagine trimestrale, conclusasi a metà aprile, ha catturato solo parzialmente gli impatti dei recenti accadimenti internazionali, come le dichiarazioni statunitensi sui dazi all'UE (2 aprile 2025) e le crescenti tensioni geopolitiche. Nonostante un'attenuazione della fase negativa, permane un clima di incertezza. Il 28% delle imprese intervistate ha dichiarato una diminuzione del portafoglio ordini, contro il 24% che ha registrato un aumento. Il 55% (in aumento dal 50% di fine dicembre) prevede di mantenere stabili i volumi di produzione, mentre il 26% si aspetta aumenti e il 19% diminuzioni. La percentuale di imprese che valuta "cattiva o pessima" la situazione della liquidità aziendale sale al 12%. Il 19% delle intervistate (dal 14% di fine dicembre) pronostica ridimensionamenti della forza lavoro, contro il 14% che pensa di accrescerla. Il 68% delle imprese non intende usufruire degli incentivi del "Piano Transizione 5.0", quasi la metà delle quali per "mancata rispondenza alle esigenze aziendali".
Diego Andreis, Vice Presidente di Federmeccanica, ha offerto una lettura preoccupata del contesto attuale: «Oggi analizziamo i primi tre mesi dell’anno e già siamo dentro uno scenario completamente nuovo. Diventa sempre più difficile fare analisi congiunturali quando le cose possono cambiare da un giorno all’altro. Da aprile viviamo letteralmente alla giornata tra annunci e misure che incidono pesantemente sull’economia globale e sull’attività di chi fa impresa. In questo contesto estremamente volatile e di riduzione delle marginalità, bisogna fare i passi giusti ed evitare assolutamente passi falsi, a tutti i livelli. Con fiducia e propensione agli investimenti ai minimi, le politiche industriali, mirate ed efficaci, dovrebbero giocare un ruolo chiave mettendo in campo strumenti che siano funzionali per la crescita delle imprese. Dalla nostra indagine emergono in maniera chiara le carenze del Piano Industria 5.0. Un buon intento che non si è tradotto in un positivo impatto, rimanendo in larghissima parte inutilizzato ed inutilizzabile. Serve quindi un cambiamento di rotta per essere più competitivi in una fase nuova, nella quale potremmo essere costretti a rivedere i contorni di catene del valore globali estremamente instabili».
Stefano Franchi, Direttore Generale di Federmeccanica (in foto), ha ulteriormente evidenziato le difficoltà: «Dal segno meno si passa al segno più della produzione industriale congiunturale e questo è positivo, ma si tratta di uno zero virgola, dopo un peggioramento continuo durato ventitré mesi e questo è negativo; in più il confronto anno su anno continua ad evidenziare un pesante segno meno e questo è molto negativo. Poggia e buca non fa pari e i conti non tornano, anche perché il lievissimo aumento della produzione, da prefisso telefonico, va pesato con i costi della produzione. L’innalzamento verticale dei prezzi alla produzione di quasi venti punti che c’è stato negli ultimi anni non accenna a ridursi. In tanti ci segnalano che il piccolo aumento dei volumi, laddove c’è stato, si è poi tradotto in riduzione della profittabilità. Praticamente si produce un po’ di più e allo stesso tempo si genera un po’ meno ricchezza. Un circolo vizioso, mentre si deve creare un circuito virtuoso e incrementare la marginalità che è fondamentale per avere capacità di investimento e per la redistribuzione. Tutto questo senza considerare, ancora, l’impatto che avranno i dazi che, comunque vadano le cose, già oggi sono del 10% e possono cambiare tutto, in peggio».
Sul fronte dazi, le imprese metalmeccaniche italiane vivono con preoccupazione l'introduzione di nuove misure protezionistiche. L'80% delle aziende teme conseguenze. Il timore principale è la perdita di quote di export (27%), seguito dalle difficoltà nelle catene di approvvigionamento (24%) e un potenziale aumento della pressione competitiva sul mercato europeo (23%) a causa del reindirizzamento dei prodotti non più assorbiti dal mercato USA. Il 20% teme una perdita di competitività, mentre il 6% segnala altre conseguenze come l'incremento dei costi energetici e delle materie prime. Il 43% delle imprese esporta negli Stati Uniti, di cui il 78% per una quota fino al 15% del totale export aziendale. Il 65% esporta in Germania, con l'86% che destina fino al 25% del totale delle esportazioni. Per fronteggiare eventuali difficoltà commerciali, solo poco più di un terzo delle imprese non ha alcuna strategia specifica, mentre circa il 60% pensa di aumentare le esportazioni/vendite in altri mercati. Riguardo agli USA, solo una quota esigua di imprese considera fattibile la rilocalizzazione di attività o fasi produttive nel Paese.