Economia
Prezzi alimentari alle stelle. Unimpresa: “Emergenza sociale invisibile, servono interventi immediati”
di Redazione

Dal 2022 al 2025 rincari record per i beni di prima necessità. Famiglie in difficoltà, consumi in calo e povertà alimentare in crescita. Il presidente Longobardi: “Il diritto al cibo non può dipendere dalla speculazione finanziaria”
Negli ultimi tre anni i prezzi dei beni alimentari fondamentali per la dieta degli italiani – pane, latte e pasta – hanno subito aumenti vertiginosi, compromettendo in modo strutturale la capacità di spesa di milioni di famiglie. È quanto emerge da un dettagliato rapporto del Centro studi di Unimpresa, che denuncia una situazione non più sostenibile e invoca l’adozione urgente di misure fiscali e sociali per contenere i danni di un’inflazione ormai cronica sul carrello della spesa.
Tra il 2022 e il 2025, infatti, il pane ha fatto registrare rincari fino al +62%, il latte ha segnato un incremento del 20%, mentre la pasta è aumentata addirittura del 38% in un solo anno. A scatenare questa impennata dei prezzi sono stati fattori globali e interni: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, la siccità nei Paesi esportatori di grano, l’impennata dei costi di produzione e la speculazione finanziaria sulle materie prime agricole.
Nel dettaglio, il prezzo del pane, che nel 2022 si aggirava sui 3,2-4,2 euro al chilo, oggi oscilla tra i 4,5 e i 5,5 euro al chilo, con punte massime anche superiori. A incidere sono stati soprattutto l’aumento del grano tenero (fino a +108% per quello estero) e dei costi energetici per forni e trasporti. Emblematico il caso di Ferrara, dove si sono toccati i 9,8 euro/kg. La pasta ha raggiunto nel 2023 picchi di 4,7 euro/kg in città come Cagliari, con una media nazionale nel 2025 intorno agli 1,70 euro/kg, mentre il latte si è stabilizzato su prezzi compresi tra 2,10 e 2,30 euro al litro.
Nonostante un lieve rallentamento dell’inflazione alimentare tra fine 2024 e inizio 2025, i livelli pre-crisi restano un lontano ricordo. Il rapporto evidenzia che la riduzione dei costi alla produzione, ad esempio per il grano duro (in calo del 15-19% nel 2024), non si è tradotta in reali benefici per i consumatori finali, lasciando intendere che lungo la filiera distributiva si stanno mantenendo margini di guadagno elevati.
Il peso di questi aumenti ha inciso soprattutto sui ceti medi e popolari. Quasi il 60% delle famiglie ha tagliato i consumi alimentari, spostando gli acquisti verso promozioni, prodotti prossimi alla scadenza o discount. La spesa nei punti vendita a basso costo è aumentata dell’11,9%, mentre 4,5 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a cure mediche per ragioni economiche. È il sintomo più evidente di una povertà alimentare crescente che colpisce silenziosamente anche chi, ufficialmente, non rientra nelle soglie ISEE più basse.
“La spirale inflattiva sui beni essenziali non è solo una questione economica, ma un campanello d’allarme sociale – avverte Paolo Longobardi, presidente onorario di Unimpresa –. Milioni di italiani oggi devono scegliere tra nutrirsi adeguatamente, curarsi o investire nell’istruzione dei figli. Quando anche un pacco di pasta diventa un lusso, significa che il sistema ha fallito”.
Il report del Centro studi si conclude con un pacchetto di proposte indirizzate al Governo:
• Riduzione dell’Iva sui beni alimentari di prima necessità, per alleggerire il carico fiscale sulle famiglie;
• Controlli più rigidi contro la speculazione nei mercati delle materie prime agricole;
• Sostegno alla produzione agroalimentare locale, per ridurre la dipendenza dall’estero;
• Fondi dedicati alla povertà alimentare, con aiuti mirati alle famiglie in difficoltà.
“La sicurezza alimentare – conclude Longobardi – è un diritto, non può dipendere dalle logiche dei futures o dalle dinamiche speculative di borsa. Se non si interviene ora, rischiamo di assistere alla cristallizzazione della povertà e al consolidarsi di disuguaglianze sempre più gravi, invisibili nei numeri ufficiali ma drammaticamente presenti nella quotidianità degli italiani”.