Donald Trump ha ancora una volta ritardato l'attuazione dei dazi sulla Cina, annunciando un'altra pausa di 90 giorni poche ore prima della scadenza dell'ultimo accordo tra le due maggiori economie del mondo.
Trump ha firmato ieri un ordine esecutivo che proroga la scadenza per l'aumento delle tariffe sulla Cina fino al 9 novembre.
Dazi: nuova giravolta di Trump, altri 90 giorni per trovare un accordo con la Cina
I mediatori cinesi aveva espresso, ieri mattina, la speranza che gli Stati Uniti si sarebbero sforzati di ottenere risultati commerciali "positivi", vista l'imminenza della scadenza.
"Speriamo che gli Stati Uniti collaborino con la Cina per seguire l'importante consenso raggiunto durante la telefonata tra i due capi di Stato... e lottare per risultati positivi sulla base dell'uguaglianza, del rispetto e del vantaggio reciproco", ha detto un portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian, in una dichiarazione.
I funzionari cinesi e statunitensi hanno detto che si aspettano che la pausa venga prolungata dopo l'ultimo round di colloqui commerciali tenutosi il mese scorso a Stoccolma. Scott Bessent, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ha detto la scorsa settimana che gli Stati Uniti hanno "la stoffa" per un accordo commerciale con la Cina e che era ottimista su un percorso da seguire.
Il mancato raggiungimento di un accordo avrebbe gravi conseguenze. Trump aveva minacciato tariffe sulla Cina fino al 245%, con la Cina che ipotizzata contro-tariffe di ritorsione del 125%, scatenando una guerra commerciale.
Domenica, Trump ha pubblicato su Truth Social un post sostenendo che la Cina dovrebbe quadruplicare i suoi acquisti di soia dagli Stati Uniti per contribuire a ridurre il deficit commerciale tra i due Paesi.
Attualmente, le esportazioni statunitensi verso la Cina sono soggette a dazi di circa il 30%, mentre le importazioni dalla Cina sono soggette a una tariffa di base del 10% e a una tariffa extra del 20% in risposta alle accuse di contrabbando di fentanyl contro la Cina. Alcuni prodotti sono tassati con aliquote più elevate. Le esportazioni statunitensi verso la Cina sono soggette a dazi di circa il 30%
La Federal Reserve e molti economisti hanno sostenuto che i dazi faranno salire i prezzi negli Stati Uniti. Gli strateghi di Goldman Sachs calcolano che i consumatori statunitensi hanno assorbito il 22% dei costi tariffari fino a giugno 2025. Si prevede che tale quota salirà al 67% se le tariffe recenti seguiranno lo stesso modello di quelle precedenti.
Prima della scadenza dei dazi, i produttori di chip Nvidia e AMD hanno accettato di pagare al governo degli Stati Uniti il 15% delle loro entrate dai chip avanzati venduti alla Cina in cambio di licenze di esportazione sul mercato.
Su questo è stato lapidario il giudizio di chi, come Stephen Olson, ex negoziatore commerciale degli Stati Uniti, ha una consolidata esperienza: "Quello che stiamo vedendo è in effetti la monetizzazione della politica commerciale degli Stati Uniti in cui le aziende statunitensi devono pagare il governo degli Stati Uniti per il permesso di esportare. Se è così, siamo entrati in un mondo nuovo e pericoloso".