Un’ora. Tanto è bastato perché alla 18enne Ivana Nikoline Brønlund, giovane madre groenlandese residente nei dintorni di Copenaghen, venisse tolta la sua bambina, Aviaja-Luuna, nata l’11 agosto all’ospedale di Hvidovre.
Danimarca, nata da un'ora e sottratta alla madre groenlandese: proteste e accuse di discriminazione
La decisione è stata presa dal Comune di Høje-Taastrup sulla base di un test di “competenza genitoriale”, pratica che però la legge danese vieta espressamente nei confronti delle persone di origine groenlandese. Il caso, raccontato dal Guardian, ha acceso un’ondata di indignazione in Groenlandia e in diverse città europee, trasformandosi rapidamente in un simbolo di un conflitto più profondo: quello tra la tutela dei bambini e il rischio di discriminazioni sistemiche nei confronti delle minoranze indigene.
La giovane, che in passato ha giocato per la squadra di pallamano della Groenlandia, ha raccontato al Guardian: ''Non volevo entrare in travaglio perché sapevo cosa sarebbe successo dopo. Tenevo la mia bambina vicino a me quando era nella mia pancia, quello era il massimo che avrei potuto essere con lei. È stato un periodo molto duro e orribile''.
Da allora, Ivana ha potuto vedere la piccola solo una volta, per un’ora. Non le è stato concesso di cullarla né di cambiarle il pannolino. ''Il mio cuore è spezzato, non so cosa fare senza di lei'', ha detto tra le lacrime, raccontando come il loro incontro sia stato interrotto bruscamente perché la bambina veniva considerata troppo stanca e sovrastimolata.
La giovane madre, su Facebook, ha lanciato un grido disperato: ''È così straziante… Mamma sente la tua mancanza, mia cara figlia. Combatterò ogni giorno per riportarti a casa, non mi arrenderò mai''. Secondo le autorità municipali, la decisione sarebbe stata motivata dai traumi subiti da Ivana in passato: il suo padre adottivo, oggi in carcere, l’aveva abusata sessualmente. Per il Comune, quella ferita rischiava di riflettersi sulla capacità della giovane di crescere una figlia. Una spiegazione che però non regge davanti alla legge.
A maggio 2025, la Danimarca ha infatti bandito l’uso del test FKU per le famiglie di origine groenlandese, dopo le denunce degli attivisti che lo definivano uno strumento ''razzista'' perché culturalmente inadeguato agli Inuit. Eppure, Ivana è stata comunque sottoposta al test nei mesi precedenti al parto. Il Comune, chiamato a rispondere, ha ammesso “errori procedurali” e ha spiegato di aver agito ''cercando la migliore soluzione possibile per la famiglia''.
Ma il dubbio rimane: perché il divieto non è stato rispettato? Il caso è finito sul tavolo della ministra danese degli Affari sociali, Sophie Hæstorp Andersen, che ha espresso forte preoccupazione. ''I test standardizzati non dovrebbero essere utilizzati nei casi che coinvolgono famiglie di origine groenlandese. La legge è chiara'', ha dichiarato.
Gli attivisti denunciano un approccio discriminatorio nei confronti delle madri Inuit, ricordando che, secondo dati citati dal Guardian, i figli di genitori groenlandesi in Danimarca hanno cinque volte più probabilità di essere affidati ai servizi sociali rispetto a quelli di famiglie danesi. Accanto a Ivana si è schierata anche la madre adottiva, Gitte, che ha sottolineato l’assurdità della situazione: ''Sembra che non ti sia permesso avere un trauma se stai per diventare mamma''.
Parole che risuonano con quelle di Dida Pipaluk Jensen, attivista e organizzatrice delle proteste: ''Punire Ivana per qualcosa di cui non è responsabile è profondamente ingiusto''.
Al di là del dramma personale, il caso mette in discussione l’immagine stessa della Danimarca, spesso considerata un modello di welfare e diritti sociali. La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia stabilisce infatti che un bambino non debba essere separato dai genitori se non quando necessario per il suo interesse superiore.
Ma nel caso Brønlund, secondo i legali della ragazza, non sarebbe stata rispettata né la trasparenza né la corretta informazione. La questione tocca corde profonde, e il timore degli attivisti è che i criteri dei test, già criticati come culturalmente inadeguati, rischino di trasformarsi ora in strumenti di esclusione per le comunità più vulnerabili. In attesa del ricorso, che sarà discusso il prossimo 16 settembre, Ivana potrà rivedere sua figlia solo due volte al mese, per poche ore e sempre sotto supervisione. Ma la sua battaglia, sostenuta da piazze sempre più numerose, continua: ''Il mio cuore è spezzato - ha confidato al Guardian - ma combatterò fino alla fine''.