Il Dalai Lama ha confermato ufficialmente che, dopo la sua morte, sarà nominato un successore per garantire la continuità della guida spirituale del popolo tibetano. L’annuncio arriva in occasione del suo 90° compleanno, celebrato il 6 luglio, e ribadisce la volontà di preservare l’istituzione millenaria nonostante le pressioni della Cina.
Il Dalai Lama annuncia la continuità della sua guida spirituale
"Affermo che l’istituzione del Dalai Lama sarà perpetuata", ha dichiarato nel messaggio diffuso dal monastero di McLeod Ganj, in India, dove vive in esilio dal 1959. La nomina del futuro Dalai Lama, ha precisato, sarà di esclusiva competenza del Gaden Phodrang Trust, l’Ufficio di Sua Santità, l’unico organo autorizzato a riconoscere la futura reincarnazione. Un messaggio chiaro e diretto: nessun altro potrà interferire, tantomeno Pechino.
Il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ha sempre sostenuto che il suo successore potrebbe nascere al di fuori della Cina, in un «mondo libero». Una posizione che rappresenta una sfida diretta al governo cinese, che rivendica il diritto di decidere la reincarnazione, come già accaduto per il Panchen Lama. Il leader spirituale tibetano ha ribadito questa scelta anche nel suo ultimo libro Voice for the Voiceless, pubblicato a marzo, dove afferma che il prossimo Dalai Lama nascerà fuori dalla Cina, probabilmente in India.
La Cina, prevedibilmente, ha reagito con durezza. Nei giorni precedenti all’annuncio, i media ufficiali cinesi, come il Global Times e l’agenzia Xinhua, hanno contestato la legittimità della decisione, accusando il Dalai Lama di «manipolare la reincarnazione» per scopi politici. Pechino insiste sul fatto che la selezione debba avvenire attraverso il tradizionale sistema dell’urna d’oro, introdotto nel 1792, e controllato dalle autorità.
Il prossimo Dalai Lama sarà il primo scelto dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, aumentando il rischio di un dualismo: un Dalai Lama riconosciuto da Pechino e uno dal governo tibetano in esilio. Una prospettiva che alimenta tensioni religiose e politiche, e che potrebbe ridefinire il rapporto già fragile tra la comunità tibetana e le autorità cinesi.
L’annuncio del Dalai Lama, che vive in esilio dall’età di 23 anni dopo la fallita rivolta tibetana del 1959 contro l’occupazione cinese, rappresenta un segnale forte di autodeterminazione spirituale e culturale. Con la sua dichiarazione, Tenzin Gyatso rinnova la sfida al controllo ideologico di Pechino, difendendo l’autonomia religiosa del Buddismo tibetano.