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CONI: Malagò fa un passo indietro, lasciando una grande eredità e parecchi rimpianti

di Demetrio Rodinò
 
CONI: Malagò fa un passo indietro, lasciando una grande eredità e parecchi rimpianti

Se qualcuno dice di inchinarsi davanti alla legge, nel 99 per cento dei casi il primo commento sarebbe ''e ci mancherebbe pure'', dovendo tutti sottostare alle regole che sono scritte affinché i comportamenti di ciascuno non ledano i diritti degli altri. Ma c'è chi si crede al di sopra della legge, pensando che essa si applichi a tutti, ma a lui un po' meno, per motivi spesso imperscrutabili.

CONI: Malagò fa un passo indietro, lasciando una grande eredità e parecchi rimpianti

Oggi però, leggendo che Giovanni Malagò, abbandonando la sua ricorsa alla riconferma alla guida del CONI per un altro quadriennio, dice che lo fa inchinandosi alla legge, lascia un senso di straniamento perché, almeno in questo caso, l'automatica applicazione di una legge (quella del tetto ai mandati) fa a pugni con i risultati che, per quanto riguarda il presidente del Comitato olimpico nazionale, sono sotto gli occhi di tutti.

Ma la legge è la legge e questa frase appare come un enorme bianchetto che passa, rendendoli illeggibili, su numeri che, inequivocabilmente, sono l'indicatore più attendibile che da presidente Malagò ha riportato lo sport italiano (almeno per quello che riguarda le discipline olimpiche) al vertice mondiale, andando ad affermarsi anche laddove mai, come Paese, siamo stati forti, vincenti o anche solo presenti nella geografia dei Cinque cerchi.

Quindi, Giovanni Malagò, che sperava di andare avanti almeno sino alla celebrazione dei giochi invernali di Milano-Cortina, deve cedere il passo, dopo oltre dodici anni di presidenza (tre mandati, il massimo), dopo avere sperato che una delega gli consentisse di finire in bellezza, davanti al braciere olimpico che si accenderà, l'anno prossimo, sulle nevi italiane (anche se forse sperare in una Milano imbiancata è veramente troppo).

Gli scenari che si aprono sono diversi e comunque la speranza è che chi subentrerà a Malagò sappia continuarne l'operato, magari con uno stile diverso, se era proprio questo a innervosire i suoi avversari (ce ne sono nelle famiglie, figurarsi nelle cinquanta federazioni che compongono il CONI), cercando di emularne i risultati e anche la capacità di aggregare, intorno al movimento, l'interesse della classe politica, una cosa affatto scontata.

La cosa che ora verrebbe da dire è che una capacità manageriale e di abile tessitore di contatti e relazioni, come quella di Malagò, non si lasci nel limbo dei tanti cimiteri degli elefanti di cui è piena la nostra storia.

Piaccia o meno l'uomo, Malagò è una risorsa e sarebbe deleterio non utilizzarla in un prossimo futuro.

Ma questo, come molto altro, attiene alla politica, che forse mal sopporterebbe confrontarsi con una personalità forte come la sua. Intanto si è aperta la giostra dei candidati a succedergli che si dividono in più categorie: quelli che lo sono da sempre e mai sono riusciti a scalzarlo; quelli che vorrebbero, ma non ne hanno le capacità; quelli che sperano di vincere la partita, giocandola come se a determinarne l'esito sia la politica; quelli che, come gli highlander, non muoiono mai, oppure sono morti, senza che qualcuno glielo abbia comunicato.

Di nomi ne sono cominciati a circolare, in qualche caso andando a cercarli in elenchi vecchi di decenni. Ma, come si dice, in certi casi non si deve buttare via nulla.
La speranza dello sport nazionale è che chi sostituirà Giovanni Malagò, al di là del ''citius, altis, fortius'', abbia come obiettivo quello di fare crescere il movimento, senza necessariamente appiccicargli uno stemma, una coccarda o l'imprimatur della politica. Ok, questa ce la potevamo risparmiare...

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