Economia

La manifattura italiana torna al centro, il nuovo Rapporto Confindustria traccia punti di forza, fragilità e sfide della competitività

Redazione
 
La manifattura italiana torna al centro, il nuovo Rapporto Confindustria traccia punti di forza, fragilità e sfide della competitività
Dopo anni di assenza, Confindustria torna a pubblicare un Rapporto organico dedicato alla manifattura italiana, restituendo una lettura sistematica di un settore che rimane un pilastro della competitività nazionale. Il documento, costruito attorno al lavoro del Centro Studi e arricchito dal dialogo con la rete associativa, ridisegna la mappa della manifattura dopo un decennio attraversato da shock economici, pandemici e geopolitici. Il filo conduttore è la competitività, intesa sia come capacità di crescere nel lungo periodo sia come forza sui mercati internazionali.

La manifattura italiana torna al centro, il nuovo Rapporto Confindustria traccia punti di forza, fragilità e sfide della competitività

Il primo capitolo traccia una radiografia aggiornata del settore. L’Italia è oggi l’ottava manifattura al mondo e la seconda in Europa, responsabile del 2,1% del valore aggiunto globale e del 13% di quello europeo. Il comparto genera il 15% del PIL italiano, una quota che raddoppia considerando l’indotto, realizza il 35% degli investimenti in macchinari e attrezzature e sostiene il 50% della spesa nazionale in ricerca e sviluppo. Anche sul fronte della produttività la manifattura continua a superare i livelli medi degli altri settori, consentendo retribuzioni più elevate rispetto ai servizi, alle costruzioni e alla pubblica amministrazione.

Tra i punti di forza emerge l’elevata diversificazione settoriale: meccanica strumentale, metallurgia, alimentare e comparti del made in Italy, dal tessile alla pelletteria, dall’abbigliamento al mobile, garantiscono una struttura resiliente, meno esposta alle turbolenze internazionali. L’apertura al commercio estero, con esportazioni pari al 48,2% della produzione, ha generato nel 2023 un surplus commerciale di circa 120 miliardi, trainato dalla meccanica e da settori in forte crescita come la farmaceutica.

Il Rapporto sottolinea però anche elementi di fragilità storica. Il sistema resta fondato su micro e piccole imprese, che generano oltre il 30% del valore aggiunto manifatturiero, una quota molto superiore rispetto ai grandi Paesi europei. La dimensione ridotta limita la diffusione di innovazione, managerialità e investimenti in capitale immateriale. Tuttavia, il decennio ha visto anche un processo di selezione che ha portato a un calo del 12% delle micro imprese e a un significativo aumento della dimensione media delle grandi aziende, con effetti positivi sulla produttività. Un cambiamento sostenuto anche dal rafforzamento patrimoniale. La quota di capitale proprio sul totale del passivo è passata dal 34,5% del 2007 al 48,9% del 2023, mentre lo stock di prestiti è sceso dal 100% al 56% del valore aggiunto.

La competitività resta però condizionata dal freno storico rappresentato dalla produttività del lavoro. Negli ultimi trent’anni la crescita cumulata è stata del 26%, molto inferiore rispetto ai principali competitor europei. Il divario, apertosi soprattutto tra il 1995 e il 2014, si è in parte ridotto nel periodo 2015-2019 grazie a investimenti in capitale intangibile e a un contributo positivo della produttività totale dei fattori, ma gli shock successivi, prima la pandemia, poi la crisi energetica, hanno indebolito questo processo di convergenza. L’aumento del costo dell’energia ha colpito più duramente l’Italia, riducendo gli incentivi a investire, soprattutto nei settori energivori. Nel biennio 2023-2024 il fenomeno del labour hoarding, con occupazione stabile nonostante il calo produttivo, ha determinato un arretramento meccanico della produttività.

La dinamica dell’export racconta però un’industria più forte di quanto emerga dal confronto sulla produttività. Tra il 2015 e il 2024 le esportazioni manifatturiere italiane sono cresciute a un ritmo medio annuo del 2,4%, molto superiore a Francia e Germania. Il guadagno di quote di mercato è legato soprattutto alla qualità crescente dei prodotti italiani, alla tenuta dei prezzi alla produzione e a un contributo significativo della produttività in vari comparti. A spingere questa traiettoria favorevole sono stati anche gli investimenti. Nell’ultimo decennio la propensione all’investimento si è attestata intorno al 25% del valore aggiunto, superiore a Francia e Germania. Gli investimenti in beni materiali hanno consolidato il vantaggio storico italiano, mentre quelli in beni immateriali, pur in aumento, restano inferiori a quelli delle principali economie europee.

Il Rapporto dedica ampio spazio ai temi strutturali della competitività: capitale umano, flessibilità del mercato del lavoro e inclusione. Gli approfondimenti mostrano come questi elementi incidano direttamente sulla performance delle imprese e sulla loro capacità di competere. Un secondo filone analitico affronta il ritorno della politica industriale. Negli ultimi anni gli interventi pubblici a sostegno dell’industria si sono moltiplicati e gli studi raccolti da Confindustria offrono una prima valutazione delle loro implicazioni, dai sistemi di incentivi agli effetti sull’innovazione e sugli investimenti.

Il documento si chiude con un ampio quadro settoriale, costruito grazie al contributo delle associazioni aderenti. È una sezione che mette a valore la conoscenza diretta delle imprese, individuando vantaggi competitivi, ostacoli e priorità di policy per ciascun comparto dell’industria italiana. Ne emerge un mosaico complesso, fatto di eccellenze radicate, fragilità irrisolte e transizioni ancora in corso, dalla digitalizzazione alla sostenibilità, dalla trasformazione energetica alla ridefinizione globale delle catene del valore.
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