Economia
Imprese e consumatori, nuovo calo della fiducia
Confcommercio
Anche a novembre c’è un segno meno davanti tanto all'indice del clima di fiducia dei consumatori che all'indicatore composito del clima di fiducia delle imprese. L’Istat (link ai dati completi in pdf) stima infatti una diminuzione da 97,4 a 96,6 e da 93,4 a 93,1 rispettivamente. Per quanto riguarda le imprese si tratta del terzo mese consecutivo di calo, al livello minimo da aprile 2021.
Tra i consumatori peggiorano in particolare le opinioni sulla situazione economica generale e su quella futura: il clima economico cala da 99,7 a 97,8 e quello futuro si riduce da 95 a 93,8. Più contenuto l’arretramento del clima personale (da 96,6 a 96,2) e di quello corrente (da 99,2 a 98,7).
Sul fronte delle imprese, l'indice di fiducia aumenta soprattutto nel commercio al dettaglio (da 103,8 a 106,7) e poi nella manifattura (da 85,8 a 86,5), mentre diminuisce nelle costruzioni (da 103,9 a 101,5) e nei servizi di mercato (l'indice passa da 95,2 a 93,7). In questi ultimi c’è un diffuso peggioramento di tutte le componenti, al contrario di quanto accade nel commercio al dettaglio con giudizi e aspettative sulle vendite in positivo e giudizi sulle scorte sostanzialmente stabili.
“Il lieve calo della fiducia delle famiglie e delle imprese registrato a novembre, pur sintomatico delle difficoltà e delle incertezze che gravano su questa parte finale dell’anno, contiene alcuni elementi che portano a guardare con cauto ottimismo ai prossimi mesi. Segnali che provengono principalmente dal mondo delle imprese. Tra gli operatori del manifatturiero, del commercio e del turismo emerge, infatti, un atteggiamento più positivo. In particolare le imprese del commercio segnalano un recupero delle vendite, attuali e future, possibile indicazione di come le famiglie, al di là delle preoccupazioni su un prossimo deterioramento della situazione economica e del mercato del lavoro, comincino ad avere un atteggiamento più favorevole al consumo. Atteggiamento che, se confermato, potrebbe costituire un importante elemento per la crescita del 2025”: questo il commento dell’Ufficio Studi di Confcommercio ai dati Istat.
Confesercenti ha così commentato in una nota: "L’incertezza continua a pesare su imprese e famiglie, e rischia di condizionare i consumi di Natale. Le rilevazioni Istat di novembre restituiscono un quadro preoccupante: l’indice di fiducia scende sia per le attività economiche sia per i consumatori, che continuano ad essere prudenti e a cercare il risparmio, come testimonia l’interesse per il Black Friday. Un segnale di allarme in vista del Natale e delle festività invernali. Per le imprese l’indice scende per il terzo mese consecutivo, con un calo dovuto al peggioramento nel comparto dei servizi di mercato e in quello delle costruzioni. Fisiologico, invece, il miglioramento del clima di fiducia del commercio che, con l’avvicinarsi di Black Friday e Natale, registra un aumento di tre punti dell’indice di fiducia. Ma è una crescita trainata, ancora una volta, dal miglioramento della GDO, che cresce di 4 punti contro i 2 punti dei piccoli esercizi. Una differenza dovuta alle attese di vendita, in crescita di 35,7 punti nella grande distribuzione e di solo 4,7 punti presso i piccoli esercizi. Nel comparto turistico l’indice invece risale di quasi 5 punti, evidenziando già prospettive di crescita".
"Per i consumatori" - prosegue il comunicato - "diminuiscono tutte le componenti. Permane la difficoltà ad intravedere una prospettiva più certa di miglioramento economico, in linea con una dinamica effettiva dei consumi ancora in rallentamento. Serve un sostegno alla spesa delle famiglie: il Bonus Natale, è una misura certamente positiva, che offre un aiuto immediato a chi è maggiormente in difficoltà e una piccola spinta alla spesa delle famiglie meno abbienti, anche se di lieve entità. Per promuovere una ripresa strutturale e duratura dei consumi, però, è necessario fare di più e andare oltre gli interventi ‘spot’. Uno dei nodi da sciogliere per la ripartenza della domanda interna è senz’altro quello del peso della tassazione sui redditi da lavoro dipendente. Anche perché, dopo due anni di alta inflazione, il rischio di fiscal drag è sempre più concreto, soprattutto per i lavoratori che hanno ottenuto un aumento delle retribuzioni tale da passare ad un’aliquota IRPEF più pesante. Un drenaggio fiscale che rischia di ridurre fortemente l’impatto positivo degli aumenti retributivi sui consumi. In questo quadro, pensiamo che l’intervento più opportuno sia una detassazione generalizzata degli aumenti salariali."