È la voce che ha accompagnato generazioni di italiani. Una voce pacata e inconfondibile, che riecheggiava dalle radio nelle domeniche pomeriggio in famiglia, quando il calcio era ancora un rito collettivo, un momento di unione e non di divisione. Bruno Pizzul, venuto a mancare questa notte a Gorizia, non è stato solo un telecronista: è stato il testimone di un'epoca, il narratore di imprese memorabili, colui che, con il suo stile composto ed elegante, ha saputo trasformare il calcio in poesia.
Addio a Bruno Pizzul: la voce gentile di un’epoca calcistica indimenticabile
La sua non era una semplice cronaca: era un racconto appassionato e autentico, fatto di rispetto per il gioco e per gli spettatori, di parole scelte con cura e di un'eleganza che oggi sembra appartenere a un'altra epoca. Con la sua cadenza misurata e il suo linguaggio forbito, Pizzul ha saputo rendere il calcio un racconto avvincente anche per chi non era tifoso.
Nessun eccesso, nessuna teatralità fuori luogo: solo pura competenza e passione. Nato a Udine l'8 marzo del 1938, Pizzul aveva vissuto il calcio prima ancora di raccontarlo.
Dopo gli esordi nella squadra parrocchiale di Cormons e nella Pro Gorizia, era diventato un calciatore professionista, vestendo le maglie di Catania, Ischia, Udinese e Sassari Torres. La carriera da giocatore si interruppe prematuramente a causa di un infortunio al ginocchio, ma quella passione per il pallone trovò nuova vita dietro un microfono.
Nel 1969 entrò in Rai, “assunto in Rai per concorso, perché era bravo”, ricorda l’amico e collega Marino Bartoletti dalle sue pagine social. E l'anno successivo commentò la sua prima partita ufficiale: Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia.
Da lì, una carriera straordinaria che lo vide diventare la voce della Nazionale dal 1986 fino al 2002, raccontando cinque Mondiali e quattro Europei. Oltre alle telecronache, condusse programmi iconici come Domenica Sprint e La Domenica Sportiva, sempre con lo stile sobrio e signorile che lo ha reso amato dal pubblico.
La sua prima finale internazionale commentata fu quella degli Europei del 1972, con la vittoria della Germania Ovest sull'URSS per 3-0. Negli anni successivi raccontò le grandi sfide delle squadre italiane nelle coppe europee, ma il suo nome resterà legato indissolubilmente alla Nazionale. Ogni partita dell'Italia aveva il suo timbro vocale, quella capacità di coinvolgere senza mai scadere nella retorica, di trasmettere pathos con naturalezza.
Nella sua lunga carriera, Pizzul ha raccontato alcune delle pagine più gloriose del calcio italiano ed europeo. La sua voce ha celebrato la vittoria del Milan in Coppa delle Coppe nel 1973, così come i successi di Lazio e Parma nelle competizioni europee del 1999. Ma ci sono anche momenti che avrebbe preferito non dover raccontare, come la strage dell’Heysel del 29 maggio 1985, prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
“È stata la telecronaca che non avrei mai voluto fare”, disse anni dopo, con la dignità e l'umanità che lo hanno sempre contraddistinto. “Non tanto per un discorso di difficoltà di comunicazione giornalistica, ma perché ho dovuto raccontare delle cose che non sono accettabili proprio a livello umano”.
Le sue espressioni sono rimaste scolpite nella memoria di tutti gli appassionati: “Si accartoccia e blocca”, “lascia partire una spingardata che si infila all'incrocio dei pali”. Iconiche, come la sua voce, mai sopra le righe, sempre capace di trasmettere la magia del calcio senza strillare.
Nell'ultima intervista, con la solita eleganza, aveva detto: “I telecronisti di oggi sono bravi, ma parlano troppo”. Perché per lui il calcio andava lasciato vivere, raccontato con semplicità, senza sovrastrutture inutili. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un uomo di grande cultura e umanità, un giornalista che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. Una volta lasciato il microfono, aveva mantenuto un profilo discreto, pur continuando a essere un punto di riferimento per il giornalismo sportivo.
Oggi il mondo del giornalismo sportivo perde un gigante, un professionista d'altri tempi, un uomo gentile che ha saputo accompagnare gli italiani col suo garbo e la sua voce che, anche se non risuonerà più nelle telecronache, resterà per sempre scolpita nel cuore di chi ha amato il calcio attraverso le tue parole.