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Bambini ''sconsigliati'' in osteria: a Bologna si rivendica il diritto di bere in pace

Barbara Leone
 
Bambini ''sconsigliati'' in osteria: a Bologna si rivendica il diritto di bere in pace

A Bologna c’è un’osteria che non fa sconti. Non ai clienti, ma ai cliché. Lì, dove il vino scorre più fluido dei pensieri e i tavoli traboccano di umanità e salumi, qualcuno ha osato fare ciò che in Italia è ormai più rischioso che bestemmiare in Vaticano: dire che, forse, i bambini non sono adatti a tutto.

Bambini ''sconsigliati'' in osteria: a Bologna si rivendica il diritto di bere in pace

Succede all’Osteria del Sole, gioiello medievale incastonato a pochi passi da Piazza Maggiore, dove si beve rosso come se non ci fosse un domani. Un cartello, ora affisso anche in versione UNESCO-friendly. cioè multilingue, avvisa: "È sconsigliato portare bambini".

E per "sconsigliato" si intende il tipo di consiglio che tua nonna dava con lo sguardo mentre ti vedeva uscire con i pantaloni strappati: non un divieto, ma quasi una minaccia esistenziale.
"Non abbiamo nulla contro i bambini", precisa con diplomazia degna di un ambasciatore in zona di guerra Nicola Spolaore, titolare dell’osteria. "Ma farli gattonare tra i tavoli è pericoloso".
Tradotto: i cinni — come si dice da quelle parti — rischiano la vita tra un calice di Sangiovese e una valanga di taglieri volanti. E poi, vogliamo dirlo? Se inciampi in un pargolo e rovesci un Lambrusco da dieci euro, il trauma chi lo paga? Non che l’avviso sia nuovo: già una decina d’anni fa il buon Spolaore aveva scritto a mano un cartello simile. Ma si sa, la calligrafia non basta più.

Oggi servono pittogrammi, colori e magari anche un jingle accattivante per dire l’ovvio: questo posto non è Gardaland. È un’osteria. Di quelle vere. Quelle con i tavoloni comuni dove siedi accanto a perfetti sconosciuti e dopo tre bicchieri vi chiamate "fratelli".
E qui sta il nodo. L’Osteria del Sole non è un luogo per anime in cerca di silenzio, né per padri in cerca di punti genitorialità. È un rituale, una liturgia laica del vino e della convivialità. È un posto dove si beve — esclusivamente alcolici, sia chiaro, ergo: la Coca-Cola non è ammessa — e si mangia ciò che ti porti da casa o compri al mercato lì vicino.

È un picnic in un affresco vivente. È Bologna che si racconta, una forchettata alla volta.
Ora, ditemi voi: ci portate davvero un bambino di due anni, magari con passeggino formato SUV e merendina scomposta? Davvero pensate che si possa godere l’atmosfera se accanto al vostro calice qualcuno sta cambiando un pannolino?

Perché è successo anche questo, racconta il titolare. Eppure, ogni volta che un ristoratore osa proporre il tema, si solleva anche l’inevitabile falange armata di genitori tra i trenta e i quaranta, pronti a gridare alla discriminazione come se fosse il 1938.
"Emarginazione!", tuonano sui social. "Bambinofobia!", aggiungono indignati. E nel frattempo, tutti gli altri clienti ringraziano in silenzio, brindando con gratitudine.
Attenzione, però: nessuno ce l’ha con i bambini. Nessuno li accusa di maleducazione, malessere o mal di stomaco.

Il problema, semmai, sono i genitori. O meglio, una sottospecie evolutiva di genitore 2.0, talmente assuefatta alla propria autoreferenzialità da pensare che ogni luogo debba piegarsi alle esigenze del proprio cucciolo umano.

Anche una storica osteria fondata nel 1465. Sì, avete letto bene, 1465: mentre Cristoforo Colombo imparava a nuotare, qui già si serviva vino rosso. Del resto, lo dicono anche i frequentatori abituali: se porti un bambino in un posto simile, o sei masochista o non hai capito il concetto di "adatto ai minori". L’ambiente è piccolo, rumoroso, spartano. L’acustica ricorda una sala prove punk degli anni ’90. I bicchieri tintinnano, i brindisi si moltiplicano e il volume medio di una conversazione rasenta quello di un comizio politico.

Aggiungerci un bimbo stanco, affamato e con le tempistiche circadiane di un monaco tibetano significa solo una cosa: tortura per tutti. Spolaore è stato fin troppo gentile. Ha parlato di "invito al buonsenso". Che, come tutti sappiamo, è ormai più raro di una domenica senza influencer. Perché oggi il buonsenso è visto come un attacco personale, un insulto travestito da suggerimento. Eppure, un locale ha il diritto di preservare la propria anima. Se l’Osteria del Sole ha resistito a secoli di guerre, pestilenze e invasioni barbariche, forse può permettersi anche di resistere a una carrozzina.

La verità? Dovremmo ringraziarlo.
Perché in un mondo in cui tutto deve essere family-friendly, gluten-free, pet-welcome e gender-neutral, qualcuno che dice "Qui si beve, si ride, si urla e si inciampa, lasciate a casa i pupi" è quasi rivoluzionario. E fa anche bene ai bambini, che magari possono dormire sereni invece di essere svegliati per mangiare alle 22 con due decibel sopra il livello di guardia. Quindi no, cari indignati cronici, non è una crociata contro l’infanzia. È solo un tentativo, educato ma deciso, di ricordare a tutti che il mondo non è un enorme parco giochi. E che sì, ci sono luoghi - pochi, sempre meno - dove si può ancora brindare in santa pace senza inciampare in un triciclo. E alla fine, se proprio ci tenete a portare i vostri pargoli ovunque, c’è sempre il McDonald’s. E quindi, prima di stracciarci le vesti e condannare Nicola Spolaore come un moderno Erode della convivialità, forse varrebbe la pena fermarsi un istante.

E chiederci, con un minimo di onestà, se non sia giunto il momento di prendere una decisione collettiva: quella di essere genitori migliori. Insegniamo ai nostri figli che ogni luogo ha un suo rispetto, ogni momento una sua misura, ogni brindisi una sua sacralità. Educhiamoli alla buona creanza, all'ascolto, al discepolato della vita reale, dove non tutto è a misura di pargolo e non ogni desiderio deve essere assecondato in tempo reale. Perché se oggi vediamo tanti bambini ingestibili, ingovernabili, irresponsabili, il problema - diciamocelo - non sta nella loro giovane età, ma nell'analfabetismo educativo di chi li accompagna. E se un'osteria del Quattrocento deve ricordarcelo con un cartello all'ingresso, forse è il momento di brindare, anche amaramente, a questa semplice verità.

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