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Verso una crisi annunciata? Gli USA e il rischio di recessione autoindotta

di Anthony Willis, Investment Manager di Columbia Threadneedle Investments
 
Verso una crisi annunciata? Gli USA e il rischio di recessione autoindotta
Al momento l'incertezza sui dazi continua e i mercati azionari, obbligazionari e valutari restano volatili. Sono emerse alcune indicazioni preliminari di apertura verso possibili intese commerciali, o quantomeno l'avvio di negoziati, tra il Regno Unito, l'Unione Europea e il Giappone, sebbene al momento non siano pervenute conferme ufficiali. La Cina, da parte sua, ha manifestato la disponibilità a riaprire il dialogo, subordinando tuttavia tale possibilità a un atteggiamento più rispettoso da parte degli Stati Uniti nei rapporti bilaterali. È possibile affermare che Stati Uniti si stiano imbarcando in un atto di autolesionismo economico? Sembrerebbe proprio di sì. Il rischio di recessione è chiaramente aumentato, ma per il momento non rappresenta la nostra ipotesi di base. Ad oggi, il posizionamento degli investitori e i dati dei sondaggi sono estremamente deboli, il che significa che potrebbero esserci rischi di rialzo nel caso di sorprese positive dai colloqui commerciali - se questi avranno luogo.

Il tema della messa in discussione dell'eccezionalità degli Stati Uniti resta centrale: i consumatori hanno speso i loro risparmi per far fronte alla pandemia, la spesa pubblica e il deficit di bilancio USA sono sotto i riflettori e la fiducia delle imprese è debole, il che significa che probabilmente assisteremo a una mancanza di investimenti. Tutto ciò avviene in un contesto di grande incertezza, ulteriormente aggravato dalle continue contestazioni del Presidente Trump all'autorità del Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, e dai suoi tentativi di licenziarlo; si tratterebbe di un campo minato dal punto di vista legale e la rimozione di un solo membro votante su 12 non modificherebbe necessariamente la politica dei tassi.

Quindi, se non stiamo ancora assistendo a una recessione negli Stati Uniti, cosa ci dobbiamo aspettare? Riteniamo che l'esito più probabile sia la stagflazione. Ciò si tradurrebbe in una crescita economica statunitense molto lenta, intorno allo 0,5%, e in un'inflazione tra il 3,5% e il 4%, con un aumento del tasso di disoccupazione dall'attuale 4,2% a circa il 4,7%. In questo scenario, la Fed sarà probabilmente molto più preoccupata dell'inflazione (e del mantenimento delle aspettative di inflazione) che del rallentamento della crescita o dell'aumento della disoccupazione a un livello, comunque, ben inferiore alla media trentennale.

Se queste tariffe fossero mantenute per un periodo prolungato, ci aspettiamo un impatto significativo sugli utili societari, cosa che non si è ancora riflessa in una riduzione significativa delle aspettative. Mentre le banche hanno rivisto al ribasso le previsioni di fine anno per l'S&P500 (prevedendo comunque un aumento del 15% da qui a dicembre 2025), non si è ancora verificato un calo degli utili di consenso. In effetti, è difficile per le aziende fornire indicazioni concrete, in quanto all'oscuro dei dazi tanto quanto noi. Permangono alcune preoccupazioni in merito alla tenuta della domanda interna negli Stati Uniti, storicamente uno dei principali motori della crescita economica. Le indagini di sentiment evidenziano un clima di incertezza che, qualora dovesse persistere, potrebbe tradursi in un progressivo indebolimento dei dati economici reali.

Gli ultimi dati sul sentiment dei consumatori sono molto deboli a tutti i livelli di reddito. I numeri del Conference Board sono fiacchi e simili ai livelli pandemici, mentre il sondaggio dell'Università del Michigan è vicino ai minimi storici. Le preoccupazioni per l'occupazione sono ai livelli che normalmente si riscontrano solo in periodi di recessione. Dovremo aspettare per vedere se questi dati negativi si tradurranno in una debolezza economica reale, anche se non è sempre così. È importante riconoscere anche l'impatto del flusso di notizie negative e il fatto che i ribassi dei mercati azionari stanno alimentando il sentiment negativo di consumatori e imprese. Prevediamo un periodo turbolento per i comunicati economici e seguiremo con attenzione le uscite dei prossimi dati.

Nel complesso, è improbabile che la volatilità sia finita, dato che i rischi principali persistono e i mercati rimangono incerti. Mentre le due superpotenze economiche mondiali avviano politiche che di fatto bloccano gli scambi commerciali tra loro, il resto del mondo si trova ad affrontare l'incertezza e a dover capire come poter mitigare l'impatto dei dazi attraverso i negoziati. Si tratta indubbiamente di un atto di autolesionismo economico da parte degli Stati Uniti, ma basato su un'ideologia che mira a rilanciare la produzione nazionale e a colpire le altre potenze economiche come l'UE e la Cina.

Tutto ciò causerà una recessione? È certamente una possibilità e, per questo motivo, stiamo monitorando attentamente eventuali segnali di indebolimento che emergano dai sondaggi e che possano trovare riscontro nei dati concreti. Qualora tali segnali dovessero intensificarsi, potrebbero influenzare la nostra valutazione complessiva e determinare un’ulteriore correzione al ribasso dei mercati, i quali sembrano non aver ancora pienamente scontato il rischio recessivo.
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