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La transizione energetica sostituirà la dipendenza dal petrolio con quella dai metalli… ed è una buona notizia
di Benjamin Louvet, Head of Commodities di Ofi Invest AM

Ormai sappiamo con certezza che il cambiamento climatico è reale, che è causato dalla combustione di combustibili fossili e dalle conseguenti emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera e che pr combatterlo è necessario attuare una politica di zero emissioni nette per essere liberi dalla CO2 entro il 2050, imparando a fare a meno di gas naturale, carbone e petrolio. Purtroppo, questo è più facile a dirsi che a farsi, dato che l'82% del consumo mondiale di energia primaria proviene ancora da combustibili fossili, nonostante gli sforzi già compiuti.
La buona notizia è che esistono soluzioni per affrontare il cambiamento climatico. Alcune, come l'energia nucleare, sono controverse per via dei tempi di messa in servizio, dei problemi di sicurezza e dell'accettazione della società che limitano la sua massiccia distribuzione a breve termine. Altre, come l'idroelettricità, presentano meno problemi etici, ma sono già largamente sfruttate, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, mentre altrove, come in Sud America, Asia e Africa, le sfide geopolitiche ne impediscono la diffusione sulla scala necessaria.
Alla luce di quanto visto sopra, si guarda sempre di più alle energie rinnovabili, in particolare l'energia eolica e solare, dato che vento e sole sono onnipresenti e gratuiti, ma per poterle imbrigliare servono infrastrutture speciali, principalmente turbine e pannelli fotovoltaici, la cui fabbricazione richiede l’impiego una vastissima quantità di commodity; in particolare metalli. Di conseguenza, l'attuale transizione energetica sta trasformando la nostra dipendenza dai combustibili fossili in una dipendenza da questi ultimi e attualmente non siamo del tutto preparati ad affrontare le sfide che questo comporta.
Secondo Emmanuel Hache, Responsabile della ricerca per IFPEN e IRIS, nel mondo ci sono abbastanza risorse per rimanere al di sotto della soglia dei 2 gradi entro il 2050; anche se ciò comporta l’impiego del 90% delle risorse di rame attualmente identificate sul pianeta, l'80% delle risorse di bauxite, circa il 60% del cobalto e il 70% del nichel.
Tuttavia, la nostra capacità di estrarre metalli ad un ritmo compatibile con le esigenze della transizione energetica è una questione molto più complessa e preoccupante. Se ci si concentra solo sul rame, i dati dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE) dicono che servirebbero 80 nuove miniere, in aggiunta alle 250 già esistenti, per soddisfarne la domanda. Se poi si considera che servono 17 anni per svilupparne una e che oggi ci sono solo 10 progetti realmente avviati per l’apertura di nuove attività estrattive in tutto il mondo, appare chiaro che l'offerta sarà probabilmente inferiore alla domanda, con un impatto immediato sul prezzo.
In ogni caso, se siamo veramente impegnati nella transizione energetica e la consideriamo una priorità, la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e veicoli elettrici dovrà assolutamente proseguire e i prezzi più elevati incoraggeranno un ampliamento dell’attività. Dall’altro lato, il tempo necessario per mettere in servizio nuove miniere costituirà un ostacolo e ciò significa che il valore del rame aumenterà in modo significativo anche nel lungo periodo (+60% secondo i dati del Fmi).
Ma il rame non è la sola commodity che sarà investita da questo trend. In uno studio pubblicato nel 2021, il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che entro il 2040 - ma probabilmente molto prima - i prezzi del litio, del cobalto e del nichel dovrebbero aumentare di diverse centinaia di “per cento”. L'FMI ha inoltre sottolineato che si tratta di stime prudenti e che, se le sue previsioni sono sbagliate, lo saranno al ribasso.
La compatibilità del settore minerario con le pratiche ambientali, sociali e di governance (ESG) e la minimizzazione dell’impatto dell’attività sulla natura sono un’altra questione cruciale. È vero che l’aumento della produzione comporterà anche un aumento delle emissioni di CO2, ma bisogna considerare che i combustibili fossili rappresentino circa il 70% delle emissioni contro circa il 13-15% dei metalli e che la maggior parte di queste ultime proviene dall’acciaio (70%) e dell’alluminio (20%). Pertanto, la sostituzione dei combustibili fossili attraverso l'aumento delle attività minerarie è vantaggiosa dal punto di vista delle emissioni di CO2, dato che l'impatto complessivo sarebbe di gran lunga inferiore a quello dei combustibili fossili. Inoltre, sono già in corso sforzi per rendere la produzione di acciaio e alluminio, meno inquinante.
Tutto quanto descritto finora può rappresentare una grande opportunità per chi vuole investire nel settore, ma è necessario ricordarsi che il mercato delle materie prime differisce dalle altre classi di attività per un motivo fondamentale: i prezzi sono fissati sulla base di un equilibrio istantaneo. Ciò significa che possono essere pesantemente colpiti dalla minima cattiva notizia. Inoltre, a differenza di altre asset class, quali azioni, obbligazioni o immobili, le materie prime non offrono un reddito regolare. Infine, gli investitori istituzionali devono affrontare vincoli normativi, in particolare quelli previsti da Basilea III, che impone requisiti patrimoniali basati sul livello di rischio delle attività nelle quali investono.
Esistono tuttavia soluzioni per ridurre i costi, in particolare attraverso prodotti strutturati, soprattutto quelli con garanzie di capitale. Ciò riduce i requisiti patrimoniali regolamentari. Oppure, un altro approccio consiste nel l'integrare i prodotti in una ripartizione basata su temi quali il cambiamento climatico o la transizione energetica. Infatti, quando investono nella transizione energetica, i portafogli sono spesso orientati verso le azioni o le obbligazioni di aziende che producono pannelli solari, auto elettriche o altre soluzioni "a basse emissioni di carbonio".
Infine, investire nei metalli è un'alternativa più stabile anche da un punto di vista del rischio geografico: se anche, per assurdo, dovesse emergere una sola impresa che domina il mercato, fosse essa cinese, europea o americana, tutti i player di mercato utilizzerebbero comunque gli stessi metalli. Pertanto, questa soluzione permette di contenere i rischi geografici e di selezione azionaria e di concentrarsi esclusivamente sulla domanda di metalli, il che, a nostro avviso, rende questo investimento più direttamente collegato alla transizione energetica.