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L’Europa potrà resistere ai dazi di Trump grazie alla Germania e alla Bce

Analisi a cura di Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM
 
L’Europa potrà resistere ai dazi di Trump grazie alla Germania e alla Bce

I dazi, prima annunciati e poi ritrattati, che Donald Trump avrebbe imposto su tutte le importazioni dirette agli Stati Uniti hanno fatto esplodere le paure per una guerra commerciale. Ma questi timori sono fondati? Le negoziazioni faranno in modo che si raggiunga un accordo che scongiuri lo scenario peggiore? E qualora i dazi tornassero in vigore, quale sarà il loro impatto sull’economia?

Prima delle elezioni statunitense erano già iniziate a circolare alcune stime in risposta a queste domande, le quali erano arrivate ad affermare che un’imposizione di tariffe al 10% avrebbe significato un declino tra il 2025 e il 2026 pari all’1% del Pil statunitense. Tuttavia, con le ultime manovre che hanno visto l’applicazione o la minaccia di applicare anche il 20%-25% di dazi, l’impatto sarebbe almeno due volte superiore.

Pertanto, se le misure protezionistiche dovessero essere non solo confermate, ma perdurassero nel tempo, la crescita degli States che oggi è data attorno al 2%, difficilmente supererà l’1%, a causa dello shock al ribasso sulla fiducia che ne conseguirebbe e della perdita di potere d’acquisto.

Alla luce di quanto visto, non sorprende la notizia che, da inizio anno, le famiglie americane abbiano iniziato a risparmiare di più per tutelarsi dalla crescente incertezza e che le imprese, sempre più preoccupate, stiano rivedendo le loro decisioni sugli investimenti in chiave più prudente. Infine, è curioso notare che, se lo scopo dei dazi è quello di ridurre il deficit commerciale con l’estero, attualmente sta succedendo l’opposto, dato che le aziende hanno acquistato grandi quantità di beni fuori dai confini Usa, allo scopo di accumulare scorte qualora gli aumenti dei prezzi dovessero tornare in vigore. Tutto ciò dovrebbe causare un notevole balzo all’indietro dell’economia statunitense, in grande controtendenza con quanto osservato per tutto il 2024.

Ma oltre alle conseguenze delle politiche di Trump per il suo stesso paese, è importante capire quali saranno le conseguenze nel Vecchio Continente e nell’Eurozona. In questo caso è importante distinguere tra il breve e il medio-lungo termine. Nel breve termine l’imposizione di dazi del 10% dovrebbe avere conseguenze negative a causa dello shock commerciale e causare una flessione della crescita del Pil dello 0,5%. Ovviamente, a tariffe maggiori corrisponde una flessione proporzionalmente più alta, tanto che se si dovesse arrivare al 20%, la crescita dell’Area Euro diverrebbe sostanzialmente nulla.

Tuttavia, nel più lungo termine entreranno in gioco fattori che dovrebbero sostenere la nostra economia, tra cui il piano da 500 miliardi di euro che la Germania vuole investire in infrastrutture e che dovrebbe creare un aumento strutturale della crescita tedesca dello 0,3%-0,4% tra il 2025 e il 2028 e dell0 0,1%-0,15% per quella europea.

Un ultimo punto da prendere in esame riguarda l’inflazione e la politica monetaria della Banca Centrale Europea. Il costo del denaro sembra avviato a rientrare nei valori target entro la fine di quest’anno, essendo sceso dal 2,3% al 2,2% nel mese di marzo, con anche la componente legata ai servizi che sembra rientrare su livelli più gestibili rispetto ai picchi raggiunti. Alla luce di ciò, la Bce dovrà prendere in considerazione l’effetto delle politiche protezionistiche, ma anche di eventuali stimoli fiscali, con il solito scontro tra colombe e falchi che si sta già facendo sentire. Tuttavia, non si è ancora giunti al punto in cui l’inflazione è totalmente sotto controllo ed è molto probabile che l’istituto di Francoforte procederà con altri tagli prima di fermarsi.

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