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Investimenti, per le PMI 2024 anno stagnante. E il 2025 non promette bene secondo gli esperti

 
Un 2024 stagnante per il settore del private equity in Italia, nonostante i numeri descrivano sia per le PMI che per le startup numeri in aumento. Per le prime gli investimenti di risorse fresche per le aziende hanno visto un ammontare, nel primo semestre, pari a 370 milioni di euro, in crescita del 76% rispetto allo stesso periodo del 2023, mentre per le startup, nei primi nove mesi dell’anno, c’è stato il completamento di 246 round – contro i 232 del dello stesso periodo del 2023 – per un totale investito di 1.108 milioni di euro – rispetto ai 791 milioni del 2023 (dati AIFI - Associazione Italiana del private Equity, Venture Capital e Private Debt in collaborazione con PwC Italia e Osservatorio trimestrale Growth Capital).

Dati che, però, se analizzati nel dettaglio, non convincono gli investor. “E’ bene non farsi ingannare da questi numeri che sono totalmente insufficienti per il nostro Paese – commenta Giovanna Voltolina (nella foto), mid-cap investor – perché se andiamo ad analizzare con attenzione i report vediamo che, le operazioni di aumento di capitale sono state 23 in un semestre rispetto ad un mercato delle PMI italiane che conta oltre 210.000 aziende con più di 10 dipendenti e oltre 25.000 con più di 50 dipendenti (censimento ISTAT). E’ chiaro come 23 operazioni fatte in un semestre siano una goccia nel mare.”

VOLTOLINA: “PREVISIONI PER IL 2025? PURTROPPO NESSUN MIGLIORAMENTO ALL’ORIZZONTE”

“E alla luce di quanto vedo non ci sarà niente di buono nel 2025 – sottolinea Voltolina – a mio avviso il prossimo anno in Italia non ci saranno cambiamenti significativi nel private equity che possano giustificare un mio pensiero positivo. Le aziende, per competere e crescere, necessitano di investimenti significativi. Come sottolineato dall'ex Premier ed ex Presidente della BCE, Mario Draghi, nel suo lavoro sulla competitività in UE ‘Bisogna crescere e diventare più produttivi’, puntando su innovazione e tecnologie avanzate. Questo principio vale per l’Europa nel suo complesso, così come per il nostro contesto locale. Oggi le PMI devono dotarsi di risorse interne altamente qualificate per concretizzare progetti ambiziosi e, al tempo stesso, individuare nuovi sbocchi e opportunità di crescita. Tuttavia, non si possono fare le nozze con i fichi secchi.”

“A tutto ciò si aggiunga – conclude la mid-cap investor – la burocrazia, l’incertezza legislativa, in alcuni casi le carenze infrastrutturali del nostro Paese e non ultima l’età degli imprenditori che ad oggi le guidano e che non intendono, in molti casi, non hanno la possibilità di portare a termine un  passaggio dell’azienda alle nuove generazioni (solo 25% delle imprese familiari ha un CEO sotto i 50 anni), con il risultato che soltanto 1 impresa familiare su 5 arriva alla seconda generazione. E se aggiungiamo il fatto che il 90% del sistema produttivo italiano è formato da PMI ecco che ci dobbiamo chiedere dove pensiamo andranno a prendere le risorse che servono.”
 
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