Intervista a Valerio De Luca, Presidente Fondazione AISES ETS – Direttore Generale SPES Academy Carlo Azeglio Ciampi.
Perché oggi l’educazione delle élite rappresenta una questione di sicurezza nazionale?
Siamo di fronte a un passaggio epocale, che impone di “bucare l’inconsapevolezza” del nostro tempo: quella convinzione diffusa e consolatoria, secondo cui si potesse vivere senza guerre in un contesto di progresso e di crescita economica durevole. Formare le élite significa dotare il Paese di una leadership consapevole, capace di visione sistemica, discernimento e responsabilità nell’orientare le decisioni pubbliche e private in contesti ad alta complessità. Senza una classe dirigente preparata ad affrontare le sfide dell’intelligenza artificiale, dei conflitti cognitivi e della disinformazione, nessuna infrastruttura potrà dirsi davvero sicura, né resiliente. In questo scenario, caratterizzato da frammentazione e vulnerabilità crescenti, l’educazione assume un ruolo essenziale, non solo come leva di sviluppo individuale e sociale, ma soprattutto come fondamento della sicurezza nazionale. Per queste ragioni, la nostra Academy ha promosso e istituito il Consiglio per l’Educazione alla Sicurezza Nazionale, presieduto dal Prefetto Bruno Frattasi. E’ un’iniziativa, nata in collaborazione con il CNR, che mira a promuovere una nuova cultura della sicurezza fondata sulla conoscenza, sull’intelligenza critica e sulla consapevolezza civica. Il Consiglio nasce per coordinare programmi formativi strategici, definire priorità educative, coinvolgere istituzioni, università e imprese. In definitiva, educare per governare non è solo un imperativo etico, ma una necessità strategica per la resilienza democratica del Paese.
Come affrontare la carenza di competenze professionali nel settore della sicurezza, che oggi mette a rischio la resilienza delle infrastrutture strategiche e la competitività, in particolare quella delle PMI italiane?
La carenza di competenze in ambito sicurezza – dalla cybersecurity alla protezione dei dati, dalla gestione delle crisi alla compliance normativa – rappresenta oggi una vera vulnerabilità sistemica per l’intero tessuto produttivo italiano, in particolare per le PMI che costituiscono l’ossatura della nostra economia. Sopperire a questo gap non significa solo aumentare l’offerta formativa tecnica, ma avviare una strategia nazionale di formazione integrata, multilivello e interoperabile. Serve una nuova alleanza tra pubblico e privato, tra sistema educativo e mondo produttivo, capace di trasformare la sicurezza in una competenza trasversale, non più riservata agli addetti ai lavori, ma parte integrante della cultura d’impresa e della governance aziendale. In un tale contesto, la piena attuazione della direttiva europea NIS2, che impone nuovi standard di sicurezza e responsabilità alle imprese, rappresenta un’occasione strategica per innalzare il livello di consapevolezza e competenza anche tra le realtà meno strutturate. In questa prospettiva, si inserisce l’accordo recentemente siglato con ASSOCISO – l’associazione che riunisce i Chief Innovation & Security Officers delle principali realtà aziendali italiane – con l’obiettivo di attivare percorsi formativi ad alta intensità strategica, ma anche di valorizzare professionalità oggi centrali per la tenuta democratica ed economica del Paese.
Qual è il legame tra l’Intelligence e la pedagogia?
L’intelligence è spesso associata alla segretezza, ma nel nostro approccio rappresenta qualcosa di molto più profondo: una vera e propria disciplina del pensiero. È un metodo educativo che allena alla lettura dell’ambiguità, alla gestione dell’incertezza e all’anticipazione dei fenomeni complessi. Potremmo definirla una grammatica invisibile della realtà, capace di connettere segnali deboli, interpretare ciò che non è immediatamente visibile e generare scenari in modo critico. In un tempo dominato dalla disinformazione e dalla velocità, questo approccio non è solo utile, ma è strategico. È ciò che consente alla formazione di diventare leva per la sicurezza, alla cultura di tradursi in capacità di governo. In questa visione, l’intelligence entra a pieno titolo nella nostra pedagogia della complessità, grazie anche all’accordo con la Società Italiana di Intelligence, presieduta dal Prof. Mario Caligiuri. Un’intesa che ha permesso di integrare nei nostri percorsi formativi un metodo che sviluppa visione strategica, capacità di analisi e di sintesi, indispensabili in un quadro geopolitico sempre più frammentato.
Qual è il ruolo dell’ecosistema dell’IA nell’educazione strategica?
L’intelligenza artificiale è oggi una delle principali leve di trasformazione dei sistemi educativi, decisionali e produttivi. Ma è anche una sfida democratica, perché può essere strumento di emancipazione o di manipolazione, a seconda di come viene progettata, regolata e compresa. L’IA non è neutra, ma anzi amplifica narrazioni, orienta comportamenti, modella percezioni. Per questo, educare all’IA significa educare alla democrazia. La SPES Academy ha promosso e istituito il Comitato per la Data Governance e AI Compliance, coordinato dal Professor Oreste Pollicino – uno dei massimi esperti a livello internazionale – con l’obiettivo di sviluppare una nuova cultura algoritmica. Vogliamo sensibilizzare leader, aziende e istituzioni ad una visione integrata e consapevole dell’ecosistema IA, sviluppando competenze in AI Literacy, etica dell’algoritmo, governance dei dati e compliance. L’obiettivo non è adattarsi alla macchina, ma dirigerla.
In che modo la SPES Academy contribuisce alla costruzione di ecosistemi ibridi uomo-macchina, e perché questo rappresenta un punto decisivo per le attività di alta formazione?
Gli ecosistemi ibridi uomo-macchina costituiscono il nuovo ambiente operativo nel quale si struttureranno sempre più i processi decisionali pubblici, aziendali e istituzionali. Essi rappresentano un salto culturale e cognitivo, perché pongono l’essere umano al centro come “modulatore intelligente”, capace di orientare le macchine con senso critico, etica e visione. Nel nostro modello educativo, la formazione diventa il punto di incontro tra capacità decisionale umana e potenza computazionale. È qui che si gioca la vera sfida della transizione cognitiva: costruire un “human-in-the-loop” attivo, strategico, adattivo. Non si tratta solo di una convivenza tra intelligenze diverse, ma di un’interazione critica, consapevole e sostenibile, orientata alla creazione di intelligenze cooperative. In questo quadro, la nostra piattaforma, attraverso moduli formativi dedicati, laboratori sperimentali e simulazioni, si propone come abilitatore di una nuova leadership cognitiva, capace non solo di adottare l’AI, ma di orientarla, guidarla e umanizzarla.
In che misura l’inclusione della neurodivergenza nei programmi formativi può contribuire a rafforzare la resilienza cognitiva delle democrazie, configurandosi come un fattore abilitante nella transizione cognitiva?
La valorizzazione della neurodivergenza — nelle sue molteplici forme come ADHD, autismo, dislessia, ipersensibilità sensoriale, iper-focus — rappresenta una risorsa strategica nella transizione cognitiva perché introduce nella società una pluralità di modi di percepire, elaborare e reagire alla complessità. È una forma di intelligenza differente che espande i margini dell’innovazione, apre nuove letture della realtà, genera soluzioni originali in contesti ad alta complessità. In questo senso, essa costituisce un contro-sapere, un anticorpo cognitivo indispensabile per costruire società aperte, leadership creative e democrazie resilienti. Per queste ragioni, SPES Academy intende avviare percorsi strutturati per l’integrazione della neurodivergenza nei propri programmi formativi, attraverso laboratori immersivi, moduli didattici dedicati e collaborazioni con enti scientifici, scuole, università e imprese per sviluppare una cultura organizzativa più accogliente verso la neurodiversità, rendendola leva di innovazione sociale, economica e istituzionale. Promuovere la neurodivergenza, nel quadro degli ecosistemi ibridi uomo-macchina, rappresenta un atto di intelligenza collettiva. Significa potenziare il “cervello sociale” con risorse cognitive capaci di pensare fuori dagli schemi, di anticipare i cambiamenti e di guidare il futuro
Che ruolo hanno i giovani in questa sfida epocale?
Sono il fulcro del cambiamento. Non sono soltanto destinatari delle trasformazioni in corso, ma attori protagonisti nella definizione delle nuove traiettorie sociali, tecnologiche e culturali. Per questo abbiamo promosso la creazione dello Young Advisory Board: un comitato strategico composto da giovani talenti selezionati per la loro visione, competenza e capacità di interpretare il futuro. Il Board non ha solo un valore simbolico, ma sarà un vero e proprio laboratorio intergenerazionale di innovazione, pensiero laterale e immaginazione, pensato per contribuire allo sviluppo delle nostre attività con idee, visioni e linguaggi nuovi. La nostra convinzione è semplice ma radicale: i giovani non devono essere solo formati, devono essere ascoltati. In un mondo che cambia con velocità esponenziale, chi non integra le nuove generazioni nei processi decisionali rischia di restare ostaggio del passato. Dobbiamo superare la logica verticale della trasmissione del sapere e costruire invece ecosistemi di apprendimento reciproco, dove i giovani imparano ma, al tempo stesso, generano conoscenze. Educare al futuro significa anche essere disposti ad apprendere dal futuro.
Qual è il legame tra la nuova alleanza euroatlantica e il capitale umano?
E quale ruolo può giocare l’Italia in questa sfida? Oggi il futuro della coesione euroatlantica non si gioca soltanto sul terreno dei trattati o delle infrastrutture tecnologiche, ma sulla capacità dell’Occidente di investire nel capitale umano come autentica infrastruttura critica. Non basta più colmare il divario tra domanda e offerta di lavoro: è necessario formare una nuova classe dirigente in grado di interpretare e governare la complessità tecnologica, le tensioni geopolitiche e le trasformazioni culturali in atto. In questa prospettiva, la formazione strategica assume un valore centrale come leva di soft power, strumento di diplomazia cognitiva e fondamento della resilienza democratica. È in quest’ottica che si collocano gli accordi di collaborazione siglati dalla Fondazione AISES-SPES Academy con alcuni dei più rilevanti attori istituzionali e transatlantici: dalla sede di rappresentanza in Italia della Commissione europea e del Parlamento europeo, al Centro Studi Americani, fino all’American Chamber of Commerce in Italy, guidata da Simone Crolla, che svolge un ruolo attivo nella costruzione di ponti tra leadership pubbliche e private, italiane e americane. L’Italia ha tutte le carte per giocare un ruolo di primo piano come ponte naturale tra Europa e Nord America, valorizzando la propria doppia anima culturale e industriale. Ma per farlo è necessario un nuovo patto pubblico-privato per le competenze, che metta la formazione del capitale umano al centro dell’agenda nazionale e internazionale.
E’ di prossima costituzione una start-up innovativa nel settore Edutech. Quale sarà il suo impatto strategico sul sistema Paese?
Il progetto Edutech nella forma di una start-up innovativa nasce da un accordo di collaborazione tra Fondazione AISES-SPES Academy e il CNR. Non si tratta di una semplice iniziativa formativa, ma del primo tassello di una “start-up nation”. Un infrastruttura cognitiva pensata per rigenerare capitale umano ad alta intensità strategica, valorizzare il patrimonio culturale e industriale dell’Italia e rafforzare la nostra resilienza democratica, contribuendo alla sicurezza nazionale nel quadro europeo e atlantico. Sarà una piattaforma Edutech ibrida e modulare, interoperabile e multilivello che offrirà programmi di formazione per policy maker, imprese, università e stakeholder strategici, con metodi innovativi e l’obiettivo di trasformare il capitale umano in infrastruttura strategica del Sistema Paese. Il suo impatto non sarà solo formativo ma sistemico: la piattaforma opererà come catalizzatore di competenze qualificate, connettore tra pubblico e privato, hub di formazione e di ricerca avanzata.
In che modo il progetto si aprirà al mondo del venture capital e degli investimenti?
Il progetto, che è ancora in una fase embrionale, intende attrarre il venture capital nazionale e internazionale come parte di una strategia d’ecosistema, costruendo un modello sostenibile, scalabile e ad alto impatto sociale e geopolitico. L’idea è quella di promuovere un nuovo patto pubblico-privato per le competenze, coinvolgendo investitori pazienti, fondi corporate, soggetti istituzionali e fondazioni pronti a scommettere su un’infrastruttura cognitiva capace di generare valore, non solo economico, ma anche istituzionale e culturale. Con il suo approccio ibrido — tra formazione, tecnologia e sicurezza — la nostra Edutech si propone come hub strategico di innovazione educativa, integrando AI, etica digitale, leadership cognitiva e data governance. Investire in capitale umano strategico oggi non è solo una questione di interesse nazionale, ma un’opportunità storica per l’Italia. Il nostro è un Paese che può trasformare la propria eredità culturale in leadership geopolitica, se riuscirà a “formare sistemi per fare sistema” e a credere nel valore trasformativo della conoscenza. Dunque, non solo formazione ma co-progettazione di ecosistemi ibridi uomo-macchina, perché oggi, più che mai, educare è governare!