I mercati, e il consenso, sembrano temere l’impatto al rialzo che le nuove tariffe commerciali avranno sull’inflazione: ci sentiamo di dissentire. Riteniamo, infatti, che le conseguenze negative dei dazi si faranno sentire soprattutto sul fronte della crescita.
Le tariffe, infatti, possono essere assimilate a una tassa il cui aumento andrà in primo luogo a colpire direttamente le tasche dei consumatori, pilastro del prodotto interno lordo americano. In secondo luogo, le tariffe danneggeranno anche le imprese, aumentando i costi dei fattori produttivi e creando un clima di incertezza, senza considerare gli effetti delle ritorsioni che i Paesi colpiti dai dazi Usa potrebbero mettere in campo, rallentando ulteriormente la crescita statunitense e globale. Da ultimo, non per importanza, è bene considerare che i beni colpiti dalle tariffe rappresentano solo il 10% del paniere dei beni PCE, la misura di inflazione monitorata dalla Fed: sono i servizi che costituiscono il resto. Pertanto, pensiamo che il Pil americano potrebbe perdere anche mezzo punto percentuale a causa dei dazi e che i tassi di interesse potrebbero essere destinati a un calo, non ad un aumento. A livello di portafogli, siamo quindi sottopesati sulla parte lunga della curva, mentre siamo lunghi sulla parte breve, con un’esposizione ai tassi di interesse maggiore rispetto agli ultimi trimestri.
Alla luce di questo scenario più che mai incerto, per il momento privilegiamo il rischio tasso al rischio credito. Crediamo che i comparti non governativi non abbiano, almeno per ora, un problema di fondamentali, quanto un problema di valutazioni, che appaiono vulnerabili all’equilibrio precario tra inflazione e crescita. Abbiamo pertanto ridotto i cosiddetti “settori a spread” attraverso una minore esposizione ai mercati emergenti, vista la combinazione di maggiore volatilità dei tassi, sia dei cambi che delle materie prime, insieme a valutazioni più strette dopo le elezioni di novembre. In particolare, abbiamo contenuto l'esposizione a Paesi come il Messico, dove le valutazioni non sembravano interessanti rispetto al rischio associato alle tariffe. Nell'ambito del credito, abbiamo aumentato moderatamente l'esposizione ai prestiti a cedola variabile o “senior loans” negli ultimi trimestri, dati i rendimenti interessanti e la posizione della struttura del capitale rispetto alle obbligazioni High Yield. Da un punto di vista settoriale, abbiamo limato l'esposizione agli energetici dalle elezioni americane in poi, date le aspettative di una maggiore volatilità del settore nel 2025, le valutazioni contratte e una minor fiducia nella capacità dell’OPEC di continuare a mantenere il prezzo del petrolio nella fascia 65-90 dollari al barile. Infine, abbiamo diminuito l’esposizione al credito ipotecario residenziale, considerate le valutazioni che si sono decisamente ridotte rispetto ai titoli societari.