La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato lo Stato italiano per aver violato il diritto alla salute e alle cure mediche di Simone Niort, detenuto affetto da gravi problemi psichiatrici, incarcerato in Italia da otto anni a partire dai diciannove anni, durante i quali ha tentato il suicidio circa una ventina di volte compiuto numerosi atti di autolesionismo. La decisione, basata su una valutazione condotta da medici specializzati, evidenzia come le autorità nazionali non abbiano valutato in maniera sufficientemente rigorosa la compatibilità dello stato di salute del detenuto con il proseguimento della detenzione, in quanto non è stato eseguito un provvedimento giudiziario che prevedeva il trasferimento in una struttura penitenziaria più adeguata alle sue condizioni.
In seguito a una perizia psichiatrica, l'ufficio di Sorveglianza aveva ordinato, nel novembre 2022, al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di individuare un istituto idoneo a ospitarlo, ma un errore procedurale, derivante dal fatto che la richiesta fosse stata indirizzata all'ente sbagliato anziché all'autorità amministrativa sanitaria competente, ha impedito la definizione di un percorso di cura alternativo al carcere.
La mancanza di strutture specifiche, in particolare in alcune regioni come la Sardegna, ha fatto sì che il detenuto rimanesse confinato in una cella di transito, definita "liscia", per prevenire il rischio di recare danni a sé stesso o agli altri, condizione che lo ha costretto a subire un isolamento prolungato e a non poter svolgere attività educative o riabilitative. Il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, ha dichiarato che "la Corte ritiene che le autorità nazionali non abbiano dimostrato di aver valutato adeguatamente la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione", mentre il legale di Niort, Antonella Calcaterra, ha spiegato che ciò è dovuto alla mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che disponeva il trasferimento del ricorrente in una struttura penitenziaria più adatta alle sue gravi condizioni. L’errore è stato principalmente procedurale, poiché la Sorveglianza avrebbe dovuto rivolgersi all'autorità amministrativa sanitaria competente anziché al DAP; tuttavia il detenuto è rimasto in carcere senza usufruire delle attenzioni necessarie al suo stato di salute.
La sentenza, che sottolinea la responsabilità dello Stato nell'assicurare condizioni di detenzione compatibili con il diritto alle cure, rappresenta un monito per le istituzioni, evidenziando l'urgenza di riforme strutturali nel sistema penitenziario e sanitario finalizzate a garantire un trattamento adeguato ai detenuti in condizioni di fragilità psichica.