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Altre tempeste in arrivo: i prossimi dazi saranno sull’Europa?
di Simona Mocuta, Chief Economist di State Street Global Advisors

Nella confusionaria ma inequivocabile escalation dei dazi commerciali statunitensi, un bersaglio si è distinto per la sua assenza fino ad ora: l’Europa.
Vi sono buone ragioni per questo, ma, nonostante una buona leva, sembra improbabile che né il Regno Unito né l’UE riusciranno a evitare indefinitamente di essere direttamente presi di mira dai dazi in futuro. Prendiamo quindi in considerazione le possibili risposte, tra cui l’imposizione di dazi di ritorsione sulle esportazioni di servizi degli Stati Uniti. Questi possono fungere da deterrente, ma la frammentazione distributiva di specifici flussi commerciali ne limita l’efficacia.
Perché l’Europa non è ancora stata direttamente presa di mira?
L’Unione Europea (UE) nel suo complesso è la principale fonte di importazioni statunitensi, rappresentando circa il 19% del totale. Questa quota è aumentata leggermente negli ultimi anni, poiché la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina è diminuita mentre altri partner commerciali hanno guadagnato quote di mercato. La quota dell’UE è superiore, ma comparabile, a quella di Canada, Messico e Cina. Queste quattro maggiori fonti di importazioni statunitensi rappresentano complessivamente oltre il 61% del totale.
Perché allora tre di questi partner commerciali sono stati così aggressivamente presi di mira con dazi, mentre l’Europa è riuscita finora a restare fuori dal mirino fino a poco tempo fa? Per comprenderlo meglio, bisogna considerare che i dazi possono servire a quattro scopi: a) uno strumento di negoziazione, b) uno strumento di riforma strutturale (ossia per attrarre i produttori stranieri a rilocalizzare la produzione o per rafforzare la produzione domestica), c) uno strumento per aumentare le entrate, d) uno strumento di decoupling (principalmente nei confronti della Cina).
A nostro avviso, i dazi sull’Europa rientrare nelle categorie b) e c), che richiedono una pianificazione e una lungimiranza maggiori. È inoltre probabile che questi dazi si mantengano nel tempo, a differenza delle oscillazioni osservate sui dazi nordamericani.
Tuttavia, vi è anche una ragione economica che spiega il ritardo, e potrebbe essere la più importante. L’UE ha una leva maggiore rispetto a Cina, Messico o Canada. Lo status di “concorrente strategico” della Cina fa sì che goda di pochissimo sostegno da entrambe le parti dello spettro politico statunitense, quindi sono pochi quelli disposti a sostenere la sua causa. Dal canto loro, Messico e Canada dipendono in modo estremo dalle esportazioni verso gli Stati Uniti, a differenza dell’UE. Nel 2023, ad esempio, quasi l’80% delle esportazioni canadesi e poco più dell’80% di quelle messicane erano destinate agli Stati Uniti. A causa della prevalenza del commercio intra-europeo e della crescente interazione commerciale con l’Asia, questa percentuale per l’UE era solo dell’8%, e circa il 16% per il Regno Unito. Escludendo il commercio intra-europeo, la percentuale sale solo al 20% circa.
Di conseguenza, l’UE ha una maggiore capacità di resistere ai dazi statunitensi, rendendola meno incline a cedere alle richieste degli Stati Uniti. Da questo punto di vista, non sorprende più di tanto che l’UE sia riuscita finora a “schivare il proiettile dei dazi”. Tuttavia, è improbabile che possa farlo per un periodo indefinito. Il presidente Trump potrebbe invece aspettare le conclusioni formali sulle pratiche commerciali estere sleali (attesi per inizio aprile) prima di aprire il fronte commerciale con l’Europa.
Come potrebbe rispondere l’Europa?
L’UE ha anche una posizione di forza in termini di potenziali reazioni. Una possibile forma di reazione è l’imposizione di dazi sui servizi esportati dagli Stati Uniti verso l’Europa. Tuttavia, esistono dei limiti a questa strategia. In primo luogo, l’avanzo dei servizi statunitensi con l’UE è circa un terzo del deficit dei beni. Di conseguenza, i servizi non possono mai svolgere un ruolo compensativo in rapporto 1:1.
Ma il più grande ostacolo all’uso efficace dei dazi sui servizi come reazione riguarda la distribuzione geografica del commercio in generale, e dei servizi in particolare. I paesi europei che registrano un forte surplus commerciale di beni con gli Stati Uniti non sono gli stessi che registrano grandi surplus nei servizi. Inoltre, ci sono notevoli variazioni nei saldi commerciali a seconda del tipo di servizi coinvolti.
Ad esempio, il Regno Unito (che non fa parte dell’UE) è di gran lunga il principale destinatario delle esportazioni di servizi finanziari statunitensi. All’interno dell’UE, Irlanda e Lussemburgo superano di gran lunga Italia, Spagna, Francia e Germania.
La distorsione è ancora più evidente nel caso della proprietà intellettuale. In questo caso, l’Irlanda, con la sua fiscalità agevolata, è un destinatario di esportazioni statunitensi di gran lunga superiore agli altri paesi. Tuttavia, una parte significativa di questi flussi è probabilmente costituita da transazioni intra-aziendali finalizzate a ridurre il carico fiscale delle imprese statunitensi. Un dazio di reazione - se mai dovesse essere concordato, visti gli interessi contrastanti dei Paesi membri - ridurrebbe i vantaggi fiscali dell’Irlanda e potrebbe semplicemente ridurre gli investimenti statunitensi nel paese. Tra le due opzioni, i dazi sui servizi finanziari statunitensi potrebbero essere più efficaci e politicamente più facili da approvare.
È per questo che la struttura dei dazi è molto importante. Dazi reciproci generali che fanno leva sull’IVA elevata dell’Europa potrebbero rappresentare un elemento di coesione che faciliterebbe la reazione europea. Al contrario, misure specifiche per singoli paesi potrebbero frammentare la politica commerciale dell’UE.
Conclusione
La relazione commerciale tra Stati Uniti ed Europa è destinata a suscitare maggiore attenzione nei prossimi mesi, poiché l'amministrazione statunitense imporrà inevitabilmente dazi anche all'Europa. Tuttavia, l’Europa si trova in una posizione negoziale molto più forte rispetto a Cina, Messico o Canada, e la minaccia di dazi di ritorsione sui servizi statunitensi potrebbe fungere da deterrente. Una politica tariffaria più moderata nei confronti dell’Europa potrebbe sorprendere i mercati e sostenere il tasso di cambio dell’euro.