In Italia, un Paese caratterizzato da profondi divari territoriali in termini di occupazione femminile e disponibilità di servizi di cura e assistenza, si registra una situazione critica sul fronte del lavoro delle donne. Secondo il recente paper dell'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), intitolato L'insostenibile inattività.
8 marzo: Inapp, 1,3 milioni di donne inattive pronte al lavoro
Il lavoro delle donne che manca, nella transizione demografica in Italia, sono quasi 1 milione e 300 mila le donne inattive che sarebbero disponibili a lavorare a determinate condizioni. Questo dato pone l'attenzione su una questione cruciale: la fuoriuscita dall'inattività femminile potrebbe costituire una risorsa strategica per affrontare la transizione demografica del Paese. Del resto, è risaputo che l’Italia sta attraversando un periodo di invecchiamento rapido e bassa natalità. Attualmente, il 24,3% della popolazione ha più di 65 anni, una percentuale destinata a salire al 34,5% entro il 2050.
Gli over 85, oggi al 3,8%, raggiungeranno il 7,2%, mentre la forza lavoro nella fascia 15-64 anni scenderà dal 63,5% al 54,3%. Questo scenario mette a rischio la sostenibilità del sistema di welfare e rende necessario un incremento dell'occupazione nelle fasce di popolazione meno attive nel mercato del lavoro. “In tal senso, il contrasto alla persistente inattività femminile deve diventare una priorità - spiega Natale Forlani, presidente di INAPP (in foto) -. Da circa 20 anni, siamo di fronte a un tasso di inattività femminile di oltre il 40%, una quota di risorse che, per vari motivi, non lavora e si colloca stabilmente al di fuori del mercato del lavoro e che invece in questo momento può rappresentare una risorsa strategica”.
Al 1° gennaio 2024, le donne inattive in Italia nella fascia 15-64 anni sono oltre 7 milioni e 800 mila. Questo gruppo include chi non ha un impiego, non lo cerca attivamente o, pur cercandolo, non è disponibile a iniziare subito a lavorare. Il 52,5% di queste donne ha un basso titolo di studio, il 38,2% possiede un diploma e solo il 9,2% ha una laurea o un titolo superiore. Tuttavia, circa 1 milione e 260 mila di loro (il 16% del totale delle inattive) si dichiarano disponibili a entrare nel mercato del lavoro a determinate condizioni. A livello regionale, le differenze sono significative. Il numero più alto di donne inattive si registra in Campania, dove il 23% di loro sarebbe disponibile a lavorare. In Sicilia questa percentuale sale addirittura al 25%. Regioni più dinamiche, come Calabria, Basilicata, Molise e Sardegna, presentano una quota di forze lavoro potenziali attorno al 23%, nonostante un numero assoluto inferiore di donne inattive.
Le cause principali dell'inattività femminile si suddividono in quattro macro-categorie: studio e formazione (18% delle donne inattive, prevalentemente tra i 15 e i 29 anni); pensionamento o disinteresse per età (37%, di cui il 23% per pensionamento e il 14% per disinteresse, concentrati negli over 54); cura e esigenze familiari, che costituiscono la motivazione principale nelle fasce d'età centrali, con un picco tra i 30 e i 40 anni. Questa fascia, spesso definita "sandwich generation", si trova a dover gestire contemporaneamente figli piccoli e genitori anziani; scoraggiamento, che pesa per il 5%, con un picco tra i 45 e i 49 anni, quando l'ingresso o il rientro nel mercato del lavoro diventa più difficile.
Le differenze territoriali sono evidenti anche rispetto alle motivazioni dell'inattività. Nel Centro-Sud, la principale causa di non partecipazione al mercato del lavoro è la cura dei familiari, specialmente in Campania, Puglia, Abruzzo e Sicilia. Al Centro-Nord, invece, prevale il pensionamento, con il Veneto come unica eccezione dove la cura resta un fattore rilevante. Per quanto riguarda lo scoraggiamento, le percentuali più alte si registrano in Campania, Basilicata e Sicilia. Uno dei fattori chiave che impedisce alle donne di entrare o rientrare nel mercato del lavoro è la carenza di servizi di assistenza. Nel Sud, i tassi di copertura dei servizi per la prima infanzia sono inferiori di dieci punti percentuali rispetto alla media nazionale e la spesa pro capite in welfare territoriale è appena un terzo di quella del Nord-Est.
L'indagine INAPP PLUS, basata su un campione di 45.000 individui tra i 18 e i 74 anni, ha permesso di evidenziare due elementi fondamentali che condizionano l'occupazione femminile. Le aspettative lavorative: nessuna delle donne inattive disponibili al lavoro accetterebbe "qualsiasi tipo di lavoro". Più elevato è il titolo di studio, maggiore è l'aspettativa di ottenere un'occupazione adeguata alle proprie competenze e con un salario dignitoso. Le madri, invece, mostrano un margine di compromesso più ampio rispetto alle donne senza figli.
Il salario di riserva: molte donne inattive dichiarano che accetterebbero un impiego solo se garantisse una remunerazione minima. Il 21% si accontenterebbe di meno di 600 euro netti al mese, il 27,8% accetterebbe fino a 999 euro, mentre il 18,5% richiederebbe almeno 1000 euro. Un ulteriore 19,5% vorrebbe tra 1001 e 1499 euro, e il 13,1% non lavorerebbe per meno di 1500 euro. Questi dati dimostrano come, a differenza degli uomini, le donne valutino la partecipazione al mercato del lavoro non solo in termini di opportunità professionale, ma anche di convenienza economica. La necessità di occuparsi della famiglia incide fortemente sulle loro scelte, rendendo il reddito familiare un fattore determinante nella decisione di lavorare.