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L’Italia è una Repubblica fondata sulle pastarelle

Redazione
 
L’Italia è una Repubblica fondata sulle pastarelle

Se i padri costituenti avessero posseduto un briciolo di sincerità antropologica, l'articolo primo della nostra Carta fondamentale avrebbe recitato senza indugio alcuno: “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sulle pastarelle”. Poiché, conveniamone, il desinare domenicale trascende la mera funzione nutritiva per assurgere a liturgia laica, a celebrazione eucaristica dei carboidrati. E il tabarin di dolci che chiude il convivio rappresenta la vera comunione nazionale.

L’Italia è una Repubblica fondata sulle pastarelle

È precisamente su questo altare saccarino che ha scelto di celebrare il proprio sacrificio la Presidente del Consiglio, concedendosi una di quelle rarissime apparizioni televisive non preconfezionate né filtrate attraverso l'asettico linguaggio dei comunicati ufficiali. Dopo mesi di ermetico silenzio - più impenetrabile della Gioconda, più sfuggente di una chimera -, eccola riemergere in collegamento con gli studi di Domenica In.

Non già per illustrare al Paese le ragioni dell'asfittico andamento economico, né per chiarire cosa intenda davvero fare con Netanyahu, bensì per narrare, con voce incrinata dalla commozione, l'epopea delle... pastarelle della nonna.

Così è: mentre il pianeta si dibatte tra conflitti bellici, genocidi e catastrofi climatiche, la nostra premier si abbandona alla commozione evocando la crema pasticcera delle domeniche infantili. Mara Venier, la sua interlocutrice, con quella profondità intellettuale tipica dei biglietti augurali, annuisce compiaciuta: "È un legame che tocca tutti noi". Sipario sull'analisi politica.

Il paradosso si compie in tutta la sua maestà: mentre Londra, Canberra e Ottawa annunciano il riconoscimento della Palestina; mentre Kiev subisce bombardamenti con la regolarità di uno spettacolo pirotecnico; mentre a Gaza City si muore sotto le bombe e di fame; mentre nel Mediterraneo l'ennesima imbarcazione di migranti affonda senza più destare clamore giornalistico; mentre i prezzi delle case volano come un deltaplano impazzito… l'Italia si commuove per le sfogliatelle della nonna.

Spettacolo che neppure un Fellini in preda ai fumi dell'assenzio avrebbe osato concepire: la premier che sfugge alle domande della stampa con l'agilità di Dracula dinnanzi all'aglio, ma che si dissolve in lacrime catartiche al ricordo dei bignè. Un tableau vivant degno di un presepe surrealista: il Colosseo come fondale scenico, Mara Venier nei panni della Madonna, e la Meloni che, in luogo del Bambinello, culla un vassoio di diplomatici.
Il dramma consiste nel fatto che non si tratta di un infortunio comunicativo, bensì di calcolo strategico.

Perché in questo disgraziato Paese, dove la memoria è un optional e la politica è (quasi) sempre stata operetta, il cibo (e non la religione) funge da oppio del popolo. Dissertare di spread genera sbadigli; evocare la crema chantilly suscita tenerezza. Ecco dunque la formula alchemica scoperta dalla premier: lacrima più nostalgia più zucchero a velo uguale consenso assicurato. Chi ha bisogno di riforme strutturali quando un semplice “ricordate le pastarelle domenicali?” vale più di cento decreti legislativi? E il pubblico bue applaude.

Non si scandalizza, non insorge: si riconosce. Poiché toccare la memoria delle domeniche con la nonna scatena un riflesso pavloviano che nemmeno il più audace psicoanalista avrebbe osato diagnosticare. Nel frattempo, a Washington, Trump, quello dal ciuffo pel di carota e dalle verità parallele, governa la politica estera come fosse un torneo di wrestling, Pechino gioca a risiko nel Mar Cinese Meridionale e l'Artico si discioglie con maggior celerità della glassa sui bignè.

Ma la leader italiana preferisce interpretare il ruolo della zia sentimentale che rievoca pomeriggi trascorsi tra savoiardi e cioccolatini. E la Rai, sempre solerte nel confezionare oleografie di regime, trasforma la liturgia domenicale in quadretto edulcorato che nemmeno l'illustratore più privo di scrupoli di confezioni natalzie avrebbe concepito. Ma il problema non è Giorgia Meloni: donna, madre, cristiana ed esperta di pasta choux.

Perché ella assolve egregiamente al proprio compito, captare il consenso con ogni mezzo. Il problema siamo noi, che ingurgitiamo la rappresentazione con la medesima docilità con cui addentiamo un cannoncino alla crema. Ci indigniamo per mezz'ora sui social, magari scriviamo anche un post al vetriolo e poi domani siamo già distratti da un nuovo scandalo o dall'ultima rissa televisiva.

Così la politica degrada a cabaret sentimentale, a reality show zuccheroso, a confessionale da pasticceria. Nel frattempo, oltre la nostra bolla, i cadaveri galleggiano nel mare, le guerre divorano intere generazioni e il pianeta si scioglie come burro al sole. Ma a noi basta l'immagine rassicurante della premier che lacrima sulle pastorelle, che intanto continuano a cuocere nel forno dell'indifferenza generale. Bon appétit!

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