C’è qualcosa di magnificamente grottesco nell’assistere alla sequela di sciagure che il più celebre museo del mondo, il Louvre sta collezionando con l’inesorabilità d’un soufflé al cioccolato: gonfio d’orgoglio un attimo, rassegnato al più mesto degli afflosciamenti il momento dopo. Prima i gioielli della Corona, sgraffignati da quattro ladruncoli con il savoir-faire di un borseggiatore metrosexual. Poi la chiusura della Galerie Campana, un intero deposito di vasi e ceramiche dell’antica Grecia - quisquilie, naturalmente - perché le travi hanno deciso di partecipare alla performance e crollare.
Parigi, mon amour… ma chiami un idraulico
E ora l’allagamento della sala delle Antichità egizie: perché se proprio si devono rovinare millenni di storia, almeno facciamolo con l’acqua di una tubatura che non regge. Eleganza francese. Il vero capolavoro, però, sta nei dettagli.
La tubatura era già stata segnalata come difettosa, nota a piè di pagina nel grande romanzo della negligenza museale. Qualcuno l’aveva perfino protocollata, timbrata, fascicolata: insomma, la burocrazia funziona. Riparare, invece, dev’essere parso troppo futuristico, roba da fantascienza. Ma nulla di irreparabile, giurano. Tra le trecento e le quattrocento opere danneggiate - “solo” riviste di egittologia e documentazione scientifica dell’Ottocento - il vice amministratore Francis Steinbock ostenta l’ottimismo di chi, davanti al Titanic, commenta: beh, almeno qualche scialuppa c’era! Semplicemente un secolo di ricerca inzuppato come savoiardi nel caffè: un tiramisù bibliotecario, insomma.
“Le faremo asciugare”, rassicurano. Sì, certo: anche io quando sull’asse da stiro carbonizzo una camicia penso che con un colpo d’appretto possa profumare ancora di Eau d’Hermès. La causa dell’allagamento ha un tocco di théâtre d’avant-garde: una “manovra errata” su una valvola di un impianto fuori uso da mesi. In soldoni, qualcuno ha girato la manopola sbagliata su qualcosa che non doveva essere nemmeno sfiorato. L'impianto doveva essere sostituito a settembre 2026, e ovviamente finché non cade a pezzi davanti ai visitatori, meglio non disturbare. I sindacati, intanto, annunciano sciopero dal 15 dicembre e parlano di “disprezzo per l’emergenza” da parte della direzione.
Un’accusa forte, che però presuppone l’esistenza di una direzione consapevole dell’emergenza. Probabilmente è questo il malinteso: “direzione” in francese significa più o meno “dilettantismo con la erre moscia”. Forse al Louvre non stanno ignorando la catastrofe, la stanno interpretando. Forse il museo non è più un museo, ma una gigantesca installazione concettuale sulla caducità della tanto celebrata grandeur d’Oltralpe.
E così, quando tra qualche secolo gli archeologi del futuro dissotterreranno i resti di quello che fu il tempio della civiltà europea, non troveranno la Gioconda, la Venere di Milo e nemmeno Amore e Psiche (soprattutto Psiche, sempre la prima a fare acqua). No. Troveranno tubature sfondate, travi marce e protocolli timbrati alla perfezione. Sarà la prova definitiva che l’arte dura poco, ma il vizio francese dell’autocompiacimento - quello, mes amis - è immortale.