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Più che un cono, un diamante da leccare

Redazione
 
Più che un cono, un diamante da leccare

C’è chi, per combattere la calura estiva, si accontenta di un cono alla stracciatella sotto casa. E poi c’è chi sceglie di farlo con stile, glamour e un tocco di opulenza da Mille e una notte, purché nel portafoglio ci siano almeno 70 euro. No, non è il prezzo di un’intera vaschetta, né quello di una degustazione multipla: parliamo di un solo gelato. Un cono, per l’esattezza. Ma non uno qualsiasi.

Più che un cono, un diamante da leccare

Succede a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, dove una gelateria ha deciso di alzare – letteralmente – l’asticella (e il conto). Il titolare si chiama Vincenzo Paparella e la sua creazione non è pensata per chi si lamenta già dei due euro e cinquanta per tre gusti. Il suo gelato è una vera esperienza sensoriale, gastronomica e – va detto – anche economica, dato che la cifra per portarselo a casa (o più probabilmente fotografarlo e poi scioglierlo lentamente al sole) è di ben 70 euro.

Alla base di questa prelibatezza c’è lo zafferano iraniano di Mashhad, considerato il più pregiato al mondo. E i numeri fanno tremare le papille gustative e il portafoglio: un solo grammo può costare fino a 70 dollari, per un chilo si arriva tranquillamente oltre i 70mila euro. Altro che vaniglia Bourbon. Ma non basta: a impreziosire ulteriormente il tutto, c’è una foglia d’oro edibile a 24 carati, posata come una carezza luccicante sopra la crema gelata. Un gesto scenografico, certo, ma anche un modo per sottolineare che qui si parla d’altro.

Non è un semplice dessert: è un manifesto. “Il metodo di lavorazione, unito alla materia prima, giustifica il costo elevato di quella che è a tutti gli effetti un’esperienza gastronomica”, spiega Paparella in un’intervista a Pomeriggio Cinque News. Non proprio il palcoscenico di Chef’s Table, ma sicuramente un megafono efficace. Aggiunge poi che la sua gelateria riceve richieste da ogni parte del mondo: Australia, Canada, Stati Uniti e, con sua sorpresa, anche da molti italiani che — pare — stanno riscoprendo il piacere del lusso… in formato cono.

Certo, in tempi in cui il carrello della spesa pare costare quanto un viaggio intercontinentale, c’è da chiedersi quanto possa far discutere una pallina di gelato da settanta euro. Ma Paparella è convinto della validità della sua proposta: “È qualcosa di unico, paragonabile a una cena in un ristorante stellato. Non è solo un gelato: è un momento da ricordare, da condividere. Capita che arrivino coppie per festeggiare un anniversario, un traguardo. In quei casi chiudiamo la gelateria e ci dedichiamo interamente a loro”. Una scelta romantica, certo. Ma anche geniale dal punto di vista del marketing: il gelato diventa un simbolo, un’esperienza esclusiva, qualcosa che non si mangia soltanto: si racconta. E magari si posta su Instagram con l’hashtag #goldgelato e un’espressione a metà tra lo stupore e il senso di colpa. La questione, ovviamente, divide. C’è chi parla di esagerazione, di lusso spinto ai limiti del kitsch. E c’è chi, invece, difende la libertà di offrire e acquistare qualcosa di fuori dal comune.

Dopotutto, se siamo pronti a spendere cifre simili per una borsa, una bottiglia di vino o un biglietto per un concerto, perché non farlo anche per un gelato che promette di essere “il più costoso d’Italia”? Senza contare che, come spesso accade, il prezzo non riguarda solo il contenuto, ma tutto ciò che ci gira intorno: la rarità dell’ingrediente, la lavorazione artigianale, il servizio su misura, la voglia di sentirsi speciali, anche solo per qualche minuto, mentre si lecca una nuvola color oro. Ma al di là dello sfarzo e della retorica dell’“esperienza”, c’è forse un elemento interessante: il desiderio, sempre più diffuso, di legare il cibo non solo al gusto, ma al racconto. Di renderlo evento, rito, status. E il gelato di Paparella, che in un certo senso trasforma una merenda in un happening, è perfettamente in linea con il tempo che viviamo.

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