Innovation
Nella realtà virtuale le distanze si accorciano e nasce una società più inclusiva
di Redazione

La rivoluzione digitale non è più uno scenario futuro, ma un ecosistema vivo, in cui relazioni, cultura e percezioni si rimodellano ogni giorno. La nuova ricerca realizzata da EY Italia, Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e Università La Sapienza, presentata in anteprima, conferma che la realtà virtuale non solo replica la socialità del mondo fisico, ma ne ridefinisce i confini, aprendo la strada a forme più profonde di inclusione e interazione.
In un mondo che punta a un modello di sviluppo sostenibile e accessibile, il digitale si conferma un ambiente sociale a tutti gli effetti: un contesto educativo, relazionale e culturale. È qui che si plasma la “prossemica del futuro”, lo studio delle distanze interpersonali traslate in universi immersivi, dove milioni di persone imparano a interagire senza i limiti della fisicità. Ne è un esempio perfetto il Padiglione Italia Virtuale dell’Expo 2025 Osaka, realizzato con il contributo di EY, una replica tridimensionale del padiglione reale, che ha accolto oltre 7 milioni di visitatori digitali aggiuntivi, trasformandosi in un laboratorio sociale unico nel suo genere.
Proprio all’interno di questo ambiente immersivo, EY Italia, IIT e La Sapienza hanno condotto la ricerca “Prossemica virtuale, influenza dei fattori corporei, sociali e culturali sulla modulazione della distanza interpersonale nella realtà virtuale immersiva”, coinvolgendo 200 persone equamente suddivise tra Italia e Giappone. Gli studiosi hanno misurato la distanza di comfort tra i partecipanti e avatar di gruppi etnici differenti, analizzando l’impatto di cultura, fiducia, attrattività percepita e bias impliciti.
I risultati dicono che anche nel virtuale le differenze culturali restano decisive. I partecipanti giapponesi hanno mantenuto una distanza media di 161 centimetri, contro i 129 degli italiani, a conferma che la cultura continua a modellare i comportamenti sociali anche quando si oltrepassano i limiti fisici della realtà.
Ma la scoperta più sorprendente è un’altra, la realtà virtuale non si limita a riprodurre il reale, lo trasforma. Secondo l’analisi, infatti, la distanza interpersonale diminuisce al crescere dell’attrattività e dell’affidabilità percepite dell’avatar. Un punto in più nella scala dell’attrattività riduce la distanza di 0,27 centimetri, un punto in più nella percezione di affidabilità la riduce di 0,17 centimetri. Sono variazioni minime, certo, ma altamente significative. La ricerca dimostra che fiducia e apertura verso l’altro possono essere costruite attraverso esperienze immersive, creando condizioni favorevoli alla convivenza e all’inclusione.
“Il digitale è molto più di un’estensione del mondo fisico: è un laboratorio sociale in cui possiamo riscrivere le regole della convivenza”, afferma Giuseppe Perrone, AI & Data Consulting Leader di EY Italia. “Anche piccoli incrementi nelle percezioni riducono in modo misurabile la distanza interpersonale. Questo significa che gli ambienti immersivi sono una leva concreta per abbattere barriere culturali e favorire la contaminazione tra i popoli. Un’opportunità straordinaria per eventi globali come Expo 2030 Riad, che punta a un futuro inclusivo e sostenibile”.
La realtà virtuale, dunque, non è solo tecnologia, ma un nuovo spazio antropologico. Un luogo in cui i confini geografici e culturali si attenuano, dove la fiducia può essere progettata, le distanze ripensate e la convivenza reinventata. Expo 2030 Riad rappresenterà il prossimo grande banco di prova, un’occasione per dimostrare che la tecnologia, se ben indirizzata, è un ponte tra comunità diverse, capace di ampliare il nostro orizzonte relazionale e costruire un modello di società più aperta e profondamente umana.