Cultura
YMCA: l’eterna ambiguità di un inno universale
Barbara Leone
Bastano poche note per riconoscerla: il refrain, ed è tutto un ondeggiar di mani. Perchè YMCA, la celebre hit dei Village People, non è soltanto una canzone. È una dichiarazione, un'evocazione di un'epoca che mescola liberazione, ironia e contraddizioni.
Pubblicata nel 1978, questa canzone si è impressa nell’immaginario collettivo come poche altre, travolgendo le barriere culturali e sociali per trasformarsi in un fenomeno planetario. Ma dietro la leggerezza del suo ritmo e l’apparente innocenza della sua coreografia, avendo sullo sfondo o come scenario New York, si cela un brano che ha saputo riflettere, in modo inconsapevole e controverso, gli umori di un tempo complesso, segnato da gioia e tragedia, speranza e paura.
Sin dalla nascita, il gruppo newyorkese abbracciò un'identità palesemente gay. E se le difficoltà nel fare una scelta di quel genere esistono ancora oggi, si può solo immaginare cosa fosse quasi cinquant’anni fa.
Una provocazione che parte già dal nome: Village People, letteralmente ''la gente del villaggio'', che si riferisce al Greenwich Village di New York, luogo frequentato dalla comunità omosessuale. A fugare poi ogni dubbio, ci pensarono quei costumi iconici: il poliziotto, il cowboy, il marinaio.
Un gioco ironico sugli stereotipi di mascolinità, il cui appeal però travalicò ben presto i confini di genere e orientamento sessuale, catturando l’attenzione di un pubblico eterogeneo. Nel 1978 per la band, nata da un'idea dei francesi Jacques Morali e Henri Belolo, arriva il grande successo con, appunto, YMCA. Il testo, scritto dal frontman Victor Willis, fa riferimento alla Young Men’s Christian Association, un’organizzazione nata a Londra nel 1844 per fornire sostegno e alloggi ai giovani uomini che si trasferivano nelle grandi città.
Willis, però, ha sempre negato che il brano avesse una connotazione esplicitamente omoerotica. Il ritornello e i versi, che parlano di comunità, sport e tempo libero, lasciano spazio a diverse interpretazioni, ma secondo l’autore, l’intento era quello di celebrare uno stile di vita semplice e accessibile, senza secondi fini. E però, ob torto collo, la canzone diventò ben presto un vero e proprio inno del mondo gay.
Complice anche l’onda emozionale di un periodo decisamente delicato per la comunità gay. Perché l’uscita di YMCA coincide con una minaccia invisibile che cominciava a farsi strada: l’AIDS. Considerata la peste dei gay, questa orribile malattia, che ufficialmente compare nei manuali di medicina solo nel 1981, in realtà negli Stati Uniti era conosciuta già dalla fine degli anni Settanta, portando con sé un’ondata di stigma e pregiudizi che avrebbero segnato profondamente la comunità LGBTQ+. In questo contesto, YMCA assunse un significato che andava oltre la sua leggerezza.
Se da un lato rimaneva un inno alla gioia e alla libertà, dall’altro divenne un simbolo di resistenza contro le difficoltà, una celebrazione di un modo di vivere che rischiava di essere messo in discussione dalla paura e dalla discriminazione.
Nonostante ciò, Victor Willis, autore del testo e figura carismatica dei Village People, ha sempre cercato di chiarire le ambiguità legate a YMCA.
Negli anni, ha più volte respinto le interpretazioni che vedevano nella canzone un inno gay, pur riconoscendo che fosse stata abbracciata dalla comunità LGBTQ+ come simbolo di identità.
Recentemente, attraverso i social media, Willis ha rinnovato questa posizione con parole forti: ''YMCA non è un inno gay. Questa convinzione deriva da fraintendimenti sul contesto e sulle vite personali di alcuni membri del gruppo. Il testo celebra semplicemente le attività della YMCA: sport, comunità, pasti economici e camere a basso costo. Non c’è nulla di sessuale in questo'', ha ribadito Willis spiegando anche che alcune espressioni usate nella canzone, come “passare del tempo con tutti i ragazzi”, riflettono lo slang afroamericano degli anni Settanta, legato alla socialità tra amici, senza alcuna connotazione erotica. In perfetto stile politically correct, ha poi aggiunto che non gli dispiace che la comunità gay abbia trovato nella canzone un simbolo, a patto che non si forzi questa lettura come unica verità.
Sullo sfondo, c’è poi quella che possiamo definire la seconda vita di questa iconica canzone. Che negli ultimi anni è stata protagonista di un’altra trasformazione culturale, questa volta politica. Durante le campagne elettorali del 2020, infatti, Donald Trump adottò la canzone come colonna sonora dei suoi comizi, chiudendo ogni evento con una danza improvvisata sulle sue note: la cosiddetta ''Trump Dance'', un movimento rigido e goffo delle braccia e delle anche diventata virale, riportando YMCA sotto i riflettori. Ovviamente non sono mancati i malumori, perché molti fan si sono lamentati con Willis del binomio YMCA-Trump chiedendogli addirittura di impedirne l’uso (a Trump, ovviamente). In un primo momento, l’autore ha cercato di opporsi, per poi scegliere una posizione più neutrale: ''Trump sembra davvero divertirsi con YMCA, e la canzone sta portando gioia a molte persone. Non mi sento di impedirlo''. Ma, come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere. E questa rinnovata visibilità con polemica annessa ha immediatamente ha avuto effetti tangibili, con YMCA tornata in cima alle classifiche digitali dimostrando ancora una volta la sua capacità di rinnovarsi e affascinare nuovi ascoltatori.
A quasi cinquant’anni dalla sua pubblicazione, YMCA rimane un’icona della cultura pop, capace di attraversare epoche, generazioni e contesti sociali. La coreografia che accompagna il ritornello, con le braccia che formano le lettere Y, M, C e A, è conosciuta in tutto il mondo e continua a unire le persone nei momenti di festa.
Eppure, il vero significato di YMCA rimane sfuggente.
È un inno gay? Una celebrazione della comunità? O semplicemente una canzone spensierata? Forse, come ogni opera d’arte, la sua forza sta proprio nella sua ambiguità. O semplicemente la verità, come quasi sempre, sta nel mezzo. Sicuramente, come ha detto Victor Willis, YMCA è per tutti: un simbolo universale di gioia, celebrazione e resistenza, capace di riflettere lo spirito del tempo senza mai perdere la sua magia.