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Esteri

L'America che vuole JD Vance: isolazionista, autarchica. Insomma, più sola

Redazione
Il senatore JD Vance, nelle prime mosse da vicepresidente designato, nel caso della più che probabile vittoria di Donald Trump (sia che Biden continui o che passi la mano a qualche altro democratico, oggettivamente ben più che sfavorito), ha disegnato per gli Stati Uniti un futuro che merita di essere preso in esame, sia da punto di vista semplicemente politico, ma anche da quello economico.
Diciamo questo in considerazione del fatto che le sue parole sembrano volere toccare i sentimenti di quella vasta porzione della popolazione americana che, stremata da anni di forte inflazione, seguiti all'emergenza pandemica che ha messo alle corde il Paese, aspetta un nuovo messia, che ridia vigore all'economia e faccia a pezzi le politiche che questa condizione non garantiscano.

L'America che vuole JD Vance: isolazionista, autarchica. Insomma, più sola

Vance ha saputo infiammare la platea della convention repubblicana di Milwaukee, toccando temi che, da sempre, hanno un forte impatto emotivo nell'elettorato repubblicano, ma alzando ancora i toni.
Al punto tale da fare apparire Trump quasi un normalizzatore, davanti alle incendiarie parole del suo vice.
Lo schema di Vance si è incentrato su pochi tempi, tutti ''graditi'' ai repubblicani, almeno a quelli dell'era trumpiana: meno invasività dello Stato nella vita quotidiana della gente; lotta senza quartiere all'immigrazione clandestina e, quindi, difesa dei posti di lavoro rispetto alla manodopera straniera; perseguimento di una indipendenza rispetto alle grandi economi straniere (leggi: Cina) perseguendo una politica di innalzamento delle barriere doganali; progressivo distanziamento da teatri di guerra o conflitti che non tocchino direttamente gli Stati Uniti; cancellazione del dogma che recita che i cambiamenti climatici siano conseguenza dei comportamenti dell'Uomo, quando sono invece effetto di cicli storici.

Ce n'è d'avanzo per parlare per ore di JD Vance, ma prima dobbiamo analizzare come il popolo repubblicano abbia metabolizzato la rivoluzione copernicana che il senatore ha mostrato (con scopi che oggi sono chiari, anche se di inattesa portata) passando da posizioni molto critiche nei confronti di Trump - paragonato ai peggiori dittatori della Storia - ad altre, più recenti, in cui l'ex presidente viene innalzato alla gloria degli altari della politica, quasi che gli errori che pure ha fatto nei quattro anni di presidenza non siano mai accaduti e che l'assalto a Capitol Hill sia stata la diretta conseguenza del ''furto'' delle elezioni del 2020.
Un'accusa che nessun tribunale ha mai suffragato, anche quelli con giudici nominati dallo stesso Trump.

Un tale cambio di direzione appare sconcertante, ma non se si guarda a quanto la convention ha mostrato, con ex competitor di Trump per la nomination (come Nikki Haley e Ron DeSantis) che, dopo averne dette di tutti i coloro contro il tycoon, oggi si uniscono al coro dei laudatores acritici sino al punto di cancellare la memoria degli errori. Ora, nel caso di elezioni, Trump dovrà capire come ''maneggiare'' JD Vance che, se gli porterà un bel gruzzolo di voti, pescati nella classe operaia e negli americani che si sentono, non solo fisicamente, emarginati, allo stesso modo vorrà dare una sua impronta alla politica americana, non limitandosi a fare da testimone, come fu Mike Pence, sin dall'inizio ridotto alla stregua di ''servo muto'' alla corte del Re.
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