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Siccità, si accusa chi ne parla: ministro Santanché, dov'è finita la regola aurea del silenzio?

Redazione
 
Cos'è che fa più notizia, un fatto vero, certo, acclarato o una reazione ad esso, anche se assolutamente fuori di luogo?
Diciamo subito che, purtroppo, ormai troppo spesso ad attirare l'attenzione non sono le cose che accadono, ma i commenti che da esse derivano, ribaltando il concetto di causa ed effetto. Nel senso che è l'effetto a dominare, lasciando la causa in seconda fila, quasi fosse un'occasione per blaterare e non la genesi di un problema.
Per questo oggi ci domandiamo che cosa sia passato per la testa del ministro del Turismo, Daniela Santanché, che, piuttosto che farsi promotrice (e gliene saremmo stati grati) di una forte, concreta sua iniziativa per aiutare gli operatori siciliani del settore che devono affrontare la gravissima crisi idrica dell'Isola, ha bacchettato il New York Times che, parlando di quanto sta accadendo, ha fatto un semplice "2+2=4", dicendo che l'industria turistica siciliana è a gravissimo rischio.
Ma cos'è che ha scritto il NYT al punto da generare la dura reazione della ministra Santanché?

Siccità, si accusa chi ne parla: ministro Santanché, dov'è finita la regola aurea del silenzio?

Ecco quel che ha detto il quotidiano: "Dopo aver perso i raccolti a causa della siccità, la Sicilia teme di perdere anche il turismo". E ancora, "Parti dell’Italia meridionale e altri paesi della regione stanno attraversando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni. Le autorità dicono che stanno lavorando per salvare almeno il turismo".
Il quotidiano ha semplicemente detto quel che accade, senza aggiungere null'altro che considerazioni affatto rivoluzionarie o eversive, anzi, per dirla tutta, anche abbastanza scontate.
Ma, leggendo l'articolo, il ministro si è infuriata, al punto di usare parole forti, durissime, che però poco o nulla sembra avere giustificato. Perché, per Santanché, "Nessuno nega il dramma della siccità in Sicilia, ma inaridire il turismo, come fa il New York Times, aggiunge danno al danno".

Ora, a parte l'immaginifico assunto che un articolo "inaridisce" il turismo, cos'è che ha detto di così sbagliato il quotidiano (peraltro trattando un argomento di cui si stanno occupando e preoccupando anche altri media internazionali) da meritare una presa di posizione non dall'uscere del Ministero (cui va tutta la nostra solidarietà), ma del capo in testa?
Dove sta l'errore o la strumentalizzazione, come se il New York Times avesse un qualche interesse a drammatizzare una situazione evidente e che più drammatica di così non potrebbe essere? La reazione della ministra quale sarebbe stata se nell'articolo il NYT avesse scritto di come in alcune zone della Sicilia è già cominciata la vendemmia (tradizionale appuntamento autunnale) e che gli allevatori stanno pensando di macellare i loro animali, piuttosto che vederli morire di sete, manco fossimo al limitare del Sahara?
E allora quale sarebbe stata la reazione del nostro ministro, se avesse letto quel che sta accadendo in Sicilia, secondo il quotidiano britannico The Guardian, in un suo reportage del primo luglio di quest'anno, a firma Lorenzo Tondo?

"Il deserto sta invadendo la Sicilia, l'isola più grande e popolosa del Mediterraneo, dove nel 2021 è stata registrata una temperatura massima europea di 48,8 °C. Le precipitazioni sono diminuite di oltre il 40% dal 2003. Negli ultimi sei mesi del 2023 sono caduti solo 150 mm di pioggia".
Cosa avrebbe dovuto fare, la ministra?

Forse incatenarsi davanti alla sede del giornale, chiedendo la testa di chi ha semplicemente riferito, senza nemmeno calcare tanto la mano? Minacciare di darsi fuoco, come un bonzo vietnamita, se il quotidiano londinese non avesse rettificato o almeno ammorbidito il suo racconto di una Sicilia che oggi piange lacrime di rabbia?
Ma è solo Santanché a vederla così, nell'ormai quotidianamente complesso rapporto tra chi fa politica e chi scrive, in questo senza nemmeno puntare il dito contro qualcuno?
Forse è proprio così perché il ministro Salvini, uno che ha il rimbrotto sempre in canna, piuttosto che scatenarsi nei suoi celeberrimi messaggi via social, ha ammesso la situazione, annunciando lo stanziamento di 92 milioni di euro (la classica goccia nel mare, e chiediamo scusa per la facile ironia), davanti ad una "un'emergenza nazionale per la quale stiamo mettendo in campo ogni azione utile a superare criticità emerse ed evidenti, ahimè, da anni". Ora, se tra le azioni utili si mettesse anche il silenzio, un buon passo avanti sarebbe fatto.
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