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Politica

La risposta arrabbiata di Giorgia e Ursula non nasconde l'evidenza della crisi d'immagine della Rai

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Ha forse ragione Giorgia Meloni a rispondere a muso duro a Ursula von der Leyen (sì, proprio quella con cui ha politicamente flirtato per mesi, ritrovandosi alla fine, sempre politicamente parlando, con il classico pugno di mosche in mano, umiliata, offesa e, soprattutto, relegata ai confini dell'Europa che conta) in merito alla relazione sullo stato di diritto che, in Italia, secondo Bruxelles, sarebbe in serio politico.
Ha ragione sulla forma, perché una relazione seria dovrebbe fare dei paragoni tra ieri e oggi e non invece trarre considerazioni su situazioni attuali, ma che sono cristallizzate o, per meglio dire, incancrenite dalla notte dei secoli.
Perché, cosa che Giorgia Meloni sembra volere negare, la politica ha sempre avuto nella Rai il terreno preferito per emulare il marchese del Grillo, con il suo famoso, profondissimo pensiero sulla diversità tra caste, su chi conta e chi no. E la politica in Italia, come nel resto del mondo, è casta, in tutto e per tutto.

La risposta arrabbiata di Giorgia e Ursula non nasconde l'evidenza della crisi d'immagine della Rai

Sostenere che la politica è di casa in Rai è inevitabile, ma, se è comprensibile che il governo cerchi di relativizzare il periodo particolare e nero del servizio pubblico (se non completamente in termini di audience, di certo di contenuti) , lo è meno se non si accetta la realtà che la qualità del prodotto sta andando a picco, con chiara responsabilità di chi non è riuscito a tappare le falle nei palinsesti, decimati da importanti defezioni.
Su questo punto, è forse riduttivo dire, come ha fatto il presidente del Consiglio, che si è trattato di un normale e fisiologico ricambio, di quelle porte girevoli che sempre sono a portata di mano, in un settore particolare come quello del giornalismo/intrattenimento. Perché questo ragionamento tace su un punto: il programma del governo (e soprattutto di Fratelli d'Italia, come più volte ribadito dal ministro Sangiuliano) di imprimere al processo di formazione della cultura un percorso diverso rispetto a quello del passato. Un periodo segnato da una narrazione che vedeva l'egemonia della Sinistra (termine sul quale occorrerebbe avviare una riflessione, perché ora in esso sono condensati partiti e persone che di sinistra hanno ben poco, ma andiamo avanti), che emarginava gli altri.
Un obiettivo politicamente scontato - ribaltare tutto per costruire - e sul quale non ci dovrebbero essere molti timori a esplicitarlo, cosa che invece non si fa, parlando invece solo di necessità culturale e non invece di esigenza politica.

Fatto sta che dalla Rai sono andati via in parecchi (non moltissimi, ma di peso perché volti noti e quotidianamente in video), consapevoli che la giostra avrebbe cominciato ad andare per un altro verso e per loro, tra terra bruciata e pozzi avvelenati, non era più aria.
Ma se ci sono state motivazioni politiche evidenti, ce ne sono state altre che non vengono ammesse, come il fatto che la descrizione di eventi e argomenti da parte della Rai a trazione di destra è chiaramente piegata alle necessità della politica. E poco impatta su questo l'accertato equilibrio, in termini di puro minutaggio, tra schieramenti, se la visibilità maggiore è riservata agli uni e non agli altri, in un lavoro alchemico che contraddice l'asserita imparzialità del servizio pubblico.
Basta vedere come sia stato elevato a dogma il giochino - in cui i vecchi direttori targati Dc erano maestri - di svilire le argomentazioni di chi è contro, mettendole in stridente contrasto con quelle meglio espresse dalla maggioranza, sostenute sempre dai soli noti, che ormai vanno con il pilota automatico lodando, semper et usquam, il governo e accusando gli altri.
La Rai di oggi è questa ed è terribilmente simile a quella di prima.

Basterebbe ammetterlo, invece di arrampicarsi sugli specchi sostenendo che le accuse dell'Ue sulla perduta imparzialità della Rai sono strumentali. Perché, se lo si dice, si dovrebbe anche avere il coraggio di dimenticare alcune delle perle del servizio pubblico (come dedicare la notizia di apertura di un tg ad un festival di arte varia, rispetto ad un evento politico che ha stravolto l'Europa).
Sbaglia l'Europa a ridurre i problemi della Rai solo all'ultimo biennio, ma allo stesso modo la maggioranza non può dire che tutto nel servizio pubblico va bene. Se si volevano trattenere voci critiche, pur correndo il rischio di una dissonanza rispetto al verbo del centrodestra, lo si poteva fare, nella consapevolezza che questo avrebbe creato problemi. Poco o nulla è stato fatto e oggi, in Rai, si sentono sempre meno voci dissenzienti. E questo è un male, non solo per la Rai, ma per il Paese.
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